Anche io, come buona parte dei miei colleghi psicologi, ho visto Joker, anche a me è venuta la smania della recensione, ma far silenzio appariva da subito la cosa migliore da fare, tutto sembrava già essere scritto e detto, tra tv, facebook e riviste specializzate, un gran spendere bene di pareri favorevoli. La realtà ? Questo film ha reso un pessimo servizio alla consapevolezza della salute mentale e ha irrobustito lo stigma più che indebolirlo. Aggiungo di essere un appassionato di fumetti DC Comics al cui personaggio è ispirato come controparte a volte complementare e a volte proiettiva dell’inconscio di Bruce Wayne, le cui ali da pipistrello sono in definitiva co-generate dai comportamenti di Joker uscito dalla penna di Bob Kane.
Il film
Il film appare intenso grazie alla perfetta interpretazione di Joaquin Phoenix, mentre Todd Phillips perpetua in qualche modo una serie di stereotipi sulla malattia mentale. In un momento storico in cui la consapevolezza di questa si sta sempre più allargando, non è più un tabù parlare di depressione (quella vera) e di ansia, si toccano ora questi argomenti in maniera profonda grazie ad ampie e diffuse campagne d’informazione. Continua però ad esserlo parlare di profonde psicosi che vengono ancora comunemente travisate.
Vecchio cinema
Nel passato l’industria cinematografica si è diverse volte occupata di malattia mentale, in modo più o meno cruenti; dalla quasi delicatezza di “Qualcosa è cambiato” (As Good as It Gets,1997) magistralmente interpretato da Jack Nicholson ed Helen Hunt e diretto da James L. Brooks alla pietra miliare di Arancia Meccanica (A Clockwork Orange,1972) di Stanley Kubrick tratto dall’omonimo romanzo distopico scritto da Anthony Burgess, finendo con il muto “l’Uomo che ride” (The Man Who Laughs, 1928) dove il protagonista è un clown deforme (molto simile a joker) la cui vita viene distrutta da chi pretende che la la realtà sia aderente ad un modello di potere, e le cui reazioni appaiono molto simili a quelle mostrateci da Todd Phillips.
La bugia
In Joker viene sdoganata l’idea che la psicosi e la malattia mentale porti necessariamente alla violenza contro gli altri, cosa assolutamente non vera, che acutizza la diffidenza e la paura dall’altro diverso da noi. La verità è proprio agli antipodi, così come evidenziato da numerosi studi, in quanto le persone affette da gravi disturbi mentali e della personalità sono fin troppo spesso effetto di violenza taciuta di chi non ha mai ricevuto una diagnosi specie se in gruppo (la gente conforme e normale). Questa trama sottesa che si fissa nell’inconscio dello spettatore sulla base di scene che evocano le paure ancestrali da orda primordiale (per citare Freud) non fa altro che amplificare lo stigma. C’è però una verità: la malattia mentale non è spesso concepibile dalla mente altrui, che la cancella o la rinchiude, pretendendo la normalità da chi ne è affetto. Non è inoltre vero che tutte quelle violenze ricevute da Arthur siano necessariamente i natali di un Joker, non lo sono affatto, generano più spesso l’implosione terrifica della persona e la potenziale frammentazione dell’Io.
La realtà
La patologia di Arthur, fantasiosa come deve esserlo in un film, è molto poco diagnosticabile, passando da una possibile condizione neurologica (sindrome pseudobulbare) a tutta una serie di sintomi psicotici narcisistici ed idee deliranti di natura grandiosa, che raramente nella realtà sfociano nella violenza verso altri, mentre sono verosimilmente prodromi di violenza di altri verso la persona che ne soffre.
La realtà è diversa, il servizio è stato pessimo, il film non male, come spunto un ottimo fumetto.
Dr. Egidio Francesco Cipriano
Psicologo
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