La metafora che guarisce
Ciò che è scritto può essere riscritto; il sentire, i pensieri le emozioni e i postulati di un tempo possono essere rielaborati nel presente riscrivendo non gli eventi passati ma ciò che essi significano ora per noi diversamente da cosa hanno significato. Le azioni metaforiche ci aprono la strada verso il testo non verbale scritto nel profondo della nostra mente emozionale; su di una strada apparentemente inversa a quella della psicoanalisi, invece di decodificare l’inconscio attraverso le parole comprensibili dal conscio, utilizziamo il linguaggio stesso dell’inconscio, quello dei sogni, dei simboli, della poesia, delle metafore, per rivolgerci a questa profondità in modo consapevolmente deliberato e organizzato.
Arte dal di là della terapia
Quest’arte terapeutica s’ispira al teatro, all’agguato falsamente magico che utilizza azioni metaforiche apparentemente inspiegabili e anche funzionalmente truffaldine di una razionalità che smette così di frapporsi tra il se e la soluzione del se. La mente cosciente rinuncia alla sua struttura logica in virtù di altri principi più paradossali, creativi, organici e onirici, e accetta di mettere in atto i mezzi per agire in modo analogico. Quando la consapevolezza razionale, la meditazione, la mindfulness, il darsi pace attraverso il perdono, la sublimazione e altre soluzioni ragionevoli diventano inefficaci, la metafora e l’atto teatrale diventano i mezzi privilegiati per realizzare il desiderio infantile senza profanare i tabù della moralità andando oltre i divieti fondamentali in modo simbolico e non letterale. Si gioca così nel teatro della vita, si mette in scena la propria famiglia, una coppia recita la nostra coppia, si uccide un simbolo, si muore in un’identità metaforica assegnata per riappropriarsi della propria. Si passa attraverso il funerale di ciò che è morto da tempo in noi per dare il natale a ciò che siamo.
Narrativa ristrutturante: oltre lo storytelling
La narrativa ristrutturante, in seduta o in gruppo, diventa un intimo setting teatrale e metaforico che può idealmente, e senza arrecare danno, soddisfare un desiderio, un bisogno, un ordine o un divieto ben ancorati nell’inconscio e in apparenza, irrealizzabili. Si possono finalmente e senza inibizioni integrare le competenze che ci neghiamo e per cui non progrediamo lungo in nostro percorso di vita, riconoscendo le azioni sabotative e auto-programmate che c’impediscono di contravvenire a principi e idee acquisti o ereditati che nella realtà non ci appartengono.

La finzione estingue la finzione
Fingere, attuare metaforicamente l’inattuabile, manifesta il falso come vero e inversamente annulla in modo polare il falso dove spesso rinchiudiamo la nostra vita. Le bugie a volte svelano le bugie che ci raccontiamo, non sempre per mancanza di consapevolezza, ma per paura della punizione che noi stessi c’infliggeremmo. Si smaschera così l’inquisitore nei sogni infranti di un bambino spezzato che si è raccontato una bugia per compiacere un genitore che lo amava più di quanto si concedesse di mostrare. Raccontare mettendo in atto metaforicamente, destruttura l’acting out compulsivo, ristabilendo un controllo profondo che non ha bisogno di monitorarsi, perché è nell’essenza quello che è. Giocare come un bimbo consapevole al gioco finto ci restituisce finalmente il piacere del gioco vero di vivere tra la vita e rimettendo al suo posto il valore della morte, sempre più rimuoverlo e seppellirlo nella paura di ciò che è più che naturale che accada. La finzione ci restituisce i nostri limiti senza i quali non potremmo mai essere liberi
Dott. Egidio Francesco Cipriano
Psicologo – Informatico
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