Il diritto a una vita al di là della scuola
La domanda che molti genitori e insegnanti si pongono è: “Perché i compiti a casa?” La risposta non è mai semplice e coinvolge una serie di implicazioni emotive, educative e sociali che meritano un’analisi profonda. Ma una cosa è certa: i compiti, come sono strutturati oggi, non sembrano essere la soluzione ideale per favorire la crescita e l’apprendimento autentico dei bambini. La scuola è un mondo a parte, ma un mondo che ci condiziona per tutta la vita. È una realtà in cui ci viene insegnato che il risultato finale è ciò che conta, e dove l’efficienza e la produttività sembrano essere i valori dominanti. Ma questo modello, che appare spesso obsoleto, non si adatta più alle esigenze dei bambini e del mondo di oggi . Molti studi e riflessioni, tra cui quelle di Maurizio Parodi, dirigente scolastico, pedagogo e autore del progetto “Bastacompiti“, sottolineano l’importanza di ripensare l’utilizzo dei compiti a casa. Parodi, infatti, sostiene che i compiti a casa, se non ripensati in modo critico, possono essere dannosi per lo sviluppo emotivo e psicologico dei bambini. A suo parere, infatti, “il compito a casa non è un’opportunità per sviluppare il pensiero autonomo, ma piuttosto un obbligo che trasforma il gioco e la creatività in un dovere, facendo emergere frustrazione e disagio”. Ma prima di entrare nel cuore di questo argomento, proviamo a immergerci in una situazione comune, che può facilmente riflettere la realtà di molti bambini e genitori
Tra madre e figlio I
Figlio (con tono stanco): “Mamma, oggi la maestra mi ha dato tantissimi compiti. A scuola ci hanno spiegato che dobbiamo fare tutto in fretta e, anche se ci provo, non riesco a finire tutto. Mi sento davvero stanco. Non ce la faccio più.”
Madre (con voce calma e rassicurante): “Capisco, tesoro. So che è tanto da fare, e non è facile. Però pensa che il tempo che trascorri a scuola è già molto, e quello che fai fuori dovrebbe essere tempo per te. Non tutto deve essere incentrato sui compiti. Siamo abituati a pensare che la scuola debba essere la cosa principale, ma la vita è fatta anche di tante altre esperienze.”
Figlio (guardando pensieroso): “Ma mamma, se non faccio tutto, che cosa diranno gli insegnanti? Mi hanno detto che è per il nostro bene, ma io non mi sento più bene quando sono così stanco.”
Madre (con una leggera risata): “Lo so, e questo è il punto. La scuola deve essere un’opportunità per imparare, ma non per farti sentire esausto. Forse potremmo parlare con la maestra, spiegando che hai bisogno di tempo per fare altre cose, per giocare, per leggere… e per rilassarti. In fondo, la creatività nasce da momenti di tranquillità, non da un accumulo di compiti.”
Figlio (con un sorriso timido): “Mi piacerebbe poter fare anche altre cose, oltre a studiare.”
Madre (abbracciandolo): “Lo capisco bene, e sono sicura che la maestra, se parliamo con calma, capirà che il tuo benessere è importante tanto quanto il tuo apprendimento. E ricordati che, oltre ai compiti, ci sono anche altre cose che ti aiuteranno a crescere. Non devi essere perfetto. La scuola è solo una parte del tuo mondo.”
In questo dialogo, il bambino esprime il suo disagio, e la madre non solo riconosce la sua frustrazione, ma gli offre anche una via di uscita che non esclude la scuola, ma la riconsidera all’interno di un contesto di benessere. Non si tratta di rifiutare l’educazione, ma di rivalutare l’importanza di altri aspetti della vita. In fondo, l’insegnamento non è solo una questione di nozioni, ma di come l’individuo si relaziona con il mondo.
Tra madre e figlio II
Figlio (visibilmente arrabbiato): “Mamma, non ce la faccio più con questi compiti! Ogni giorno, ce ne sono sempre di più. E mi dicono che devo fare tutto in fretta, ma non riesco. Non so più dove trovare il tempo per fare qualcosa che mi piaccia!”
Madre (alzando la voce, frustrata): “Ma come? Ogni giorno a scuola, compiti a casa, corsa per finire tutto. E noi che dobbiamo stare dietro a tutto questo! Ti stai stressando, e io non so più come aiutarti! È come se la scuola fosse l’unica cosa che conta. E se non li fai, cosa accade? Mi hanno detto che sono importanti per il tuo futuro, ma io non sono più sicura che tutto questo ti stia aiutando. Cosa c’è di positivo in tutto questo?”
Figlio (in tono difensivo): “Non lo so, mamma, ma io non voglio deludere la maestra. Però non voglio nemmeno sentirmi sempre stanco, come se non riuscissi a fare nulla!”
Madre (con tono secco): “Lo capisco, ma c’è qualcosa che non va. Ogni giorno ci troviamo intrappolati in questa routine. Scuola, compiti, e poi la stessa storia. Non abbiamo più nemmeno il tempo di parlare. E non parliamo poi delle maestre. A volte sembrano più concentrate sulle regole e sui compiti che sull’apprendimento vero. Io non posso più andare avanti così. Cosa possiamo fare? Ci vorrebbe un cambiamento radicale. La scuola non sembra nemmeno capire che il tuo benessere è più importante di tutto.”
In questo secondo dialogo, l’intensità del conflitto è palpabile. La madre, esasperata dal sistema scolastico, proietta tutta la sua frustrazione sul bambino, che si sente ormai intrappolato nel meccanismo scolastico. Qui il conflitto non è solo tra il bambino e il compito, ma anche tra la madre e il sistema educativo. La scuola diventa il capro espiatorio di un problema ben più ampio, e la difficoltà della famiglia si riflette nella percezione che la scuola non rispetti i bisogni emotivi del bambino. Questo atteggiamento può, in alcuni casi, sfociare in un confronto di tipo accusatorio, dove la scuola viene vista come un’entità distante e incapace di rispondere ai reali bisogni degli studenti.
La scuola e la sua relazione con il mondo reale: tra ansia e necessità di rinnovamento
Mentre la madre nel dialogo accogliente cerca un terreno di dialogo, nel conflitto emerge un punto fondamentale: la percezione che la scuola, invece di preparare i bambini alla realtà, li stia spingendo in una corsa senza senso. Il sistema scolastico, ormai radicato nel concetto di “prestazione” e “risultato immediato”, ha perso di vista l’importanza di un ambiente emotivamente sano. Eppure, esistono ancora molti docenti che, pur essendo spesso sopraffatti dalle richieste organizzative e burocratiche, riescono a fare la differenza, creando un ambiente di apprendimento che rispetta i bisogni dei bambini. Gli insegnanti sono anch’essi intrappolati in un sistema che li sovraccarica, dove il tempo dedicato all’insegnamento vero e proprio è sempre più ridotto dalla gestione di documentazione, compiti amministrativi e valutazioni. Non è raro che gli insegnanti, pur avendo il desiderio di guidare i bambini verso una crescita equilibrata, siano costretti a piegarsi a logiche che non favoriscono un apprendimento autentico. In questo scenario, sarebbe ingiusto dare la responsabilità solo ai docenti, senza riconoscere che sono loro stessi a volte le prime vittime di un sistema educativo obsoleto, che mette il numero e il risultato prima dell’individuo. Dobbiamo chiederci: in che modo il sistema educativo può evolversi per rispettare le esigenze di bambini e insegnanti, creando un ambiente che favorisca il benessere di tutti? E, soprattutto, quanto la scuola dovrebbe essere realmente preparata a riconoscere che l’apprendimento non si esaurisce nel completamento dei compiti, ma si sviluppa nell’esperienza e nella vita quotidiana?
Ripensare i compiti a casa: un cambio di prospettiva
Nel suo progetto “Bastacompiti”, Maurizio Parodi evidenzia come il compito a casa, in molte scuole, venga visto come un modo per “continuare l’insegnamento”, ma in realtà finisce per essere un “fardello” che gravita sulla vita dei bambini, impedendo loro di sviluppare competenze emotive e sociali. Secondo Parodi, è fondamentale che la scuola evolva verso un modello che permetta ai bambini di svilupparsi in modo più equilibrato. Il compito non deve essere un obbligo, ma uno strumento che aiuti i ragazzi a comprendere meglio ciò che stanno imparando, e deve essere pensato come un’estensione naturale del processo educativo, non un peso aggiuntivo. Allo stesso modo, Parodi suggerisce che non bisogna confondere “compiti” con “lavoro”. La scuola non dovrebbe mai trasformarsi in una fabbrica di doveri, dove il bambino è semplicemente un “prodotto” da migliorare. Al contrario, dovrebbe essere uno spazio di esplorazione e di crescita. La competenza non si misura solo con il numero di compiti fatti, ma con la capacità di un bambino di relazionarsi con il mondo, di scoprire la propria identità e di crescere come individuo.
La scuola è davvero pronta per il futuro?
La scuola, così come la concepiamo oggi, è davvero un posto dove i bambini possono imparare e crescere? O è un luogo in cui vengono appesantiti da un accumulo di obblighi che poco hanno a che fare con il mondo reale? Se è vero che l’istruzione deve essere preparatoria, dobbiamo anche chiederci: quanto un sistema educativo rigido riesce a prepararci per un mondo sempre più dinamico e interconnesso? Molti esperti di psicologia della comunità, come Alfred Adler, suggeriscono che l’apprendimento deve essere visto come un processo continuo che non si limita alla scuola, ma coinvolge ogni aspetto della vita. In una società sempre più veloce, i bambini e gli adolescenti hanno bisogno di tempo per riflettere, esplorare, fare esperienze che non siano necessariamente legate alla produttività. La crescita emotiva e sociale non avviene solo tra i banchi di scuola, ma anche nel tempo libero, nel gioco, nell’interazione con i coetanei, nell’espressione della propria creatività. Dobbiamo, quindi, domandarci se siamo davvero pronti a creare una scuola che non solo trasmetta conoscenze, ma che faccia crescere individui completi, felici e in grado di affrontare le sfide del futuro.
La necessità di un cambiamento educativo profondo
Come sottolinea Maurizio Parodi, “bastacompiti” non significa abolire completamente i compiti, ma rivederne il senso e il valore. La scuola non può più essere solo un luogo di apprendimento nozionistico. Deve diventare un ambiente che stimola la curiosità, l’esplorazione e la creatività, senza dimenticare l’importanza del benessere psicologico dei bambini. È necessario che i docenti siano messi in grado di svolgere il loro lavoro senza l’assillo di compiti burocratici e organizzativi, e che siano loro stessi supportati nell’offrire un’educazione che rispetti i ritmi e le esigenze dei ragazzi.
La scuola deve evolversi, abbracciare una visione più ampia e integrata dell’educazione, dove il bambino non è un soggetto da valutare continuamente, ma una persona da accompagnare nel suo processo di crescita.
Egidio Francesco Cipriano
Immagine generata con AI