
L’Eternauta: l’allegoria della resistenza umana.
Era una sera come tante, sul divano di casa.
Fuori, il rumore ovattato del vento; dentro, il bagliore familiare della TV. Avevo appena intimato ai miei figli — che, approfittando delle mie password, si erano moltiplicati in streaming paralleli — di spegnere ogni altro dispositivo.
Volevo silenzio.
Volevo ascoltare.
Avevo da poco scritto del blackout che aveva lasciato al buio mezza Spagna e parte del Portogallo, e quel pensiero, per qualche motivo, mi aveva spinto a cercare tra vecchi scatoloni in garage, in mezzo al disordine dei ricordi.
Ed eccoli, tra polvere e nostalgia: i miei vecchi numeri de L’Eternauta, ingialliti, ma vivi.
Li portai sul divano.
E con loro, su Netflix — che pago regolarmente e difendo come un fortino assediato —, mi immersi nella nuova serie dedicata a quell’opera che da bambino mi aveva spaventato, commosso, forgiato.
L’Eternauta non è un racconto qualunque.
Non è neanche solo fantascienza.
È una parabola nera, una meditazione sulla sopravvivenza, sulla memoria, sulla solitudine dell’umano davanti all’orrore.
Nella Buenos Aires raccontata da Héctor Germán Oesterheld e disegnata da Francisco Solano López, un’improvvisa nevicata letale inizia a cadere sulla città.
Non è neve, è morte.
Chiunque si esponga senza protezione muore in pochi istanti.
Juan Salvo, il protagonista, insieme alla moglie, alla figlia e a pochi amici, si barrica in casa. Con materiali improvvisati, cuciono tute protettive per uscire e tentare di sopravvivere.
Ma presto capiscono che la nevicata non è un fenomeno naturale: è il preludio di un’invasione.
Gli alieni — gli Ellos — non attaccano direttamente. Controllano, manipolano, usano esseri umani come marionette, spingendoli a combattere al loro posto.
Juan combatte, fugge, resiste, attraversa il tempo e lo spazio.
Diventa l’eternauta, il viaggiatore dell’eternità, condannato a vagare senza poter mai tornare davvero a casa.
Guardando la prima puntata, sentivo qualcosa sotto pelle.
Non era nostalgia.
Era riconoscimento.
L’Eternauta racconta, da più di sessant’anni, quello che oggi viviamo sotto forme diverse.
La nevicata non cade più dal cielo: ci circonda ogni giorno, fatta di informazioni tossiche, di divisioni create ad arte, di paure seminate con precisione chirurgica.
Gli invasori non arrivano su astronavi, ma parlano attraverso schermi e algoritmi.
E anche oggi, come allora, pochi si accorgono che stanno camminando in mezzo alla neve.
Juan Salvo, con la sua tuta improvvisata, è l’allegoria della resistenza umana.
Non dell’eroe invincibile, ma del sopravvissuto consapevole.
Non combatte per vincere: combatte per non smettere di essere umano.
E ogni suo gesto, ogni sua scelta, è cucire, rattoppare, adattarsi.
È il rifiuto di lasciarsi annientare.
In questa sera d’aprile, seduto tra fumetti stropicciati e streaming ad alta definizione, non posso fare a meno di vedere l’ironia sottile:
parliamo di progresso, di connessione, di intelligenze artificiali,
eppure il racconto che più parla di noi è quello di un’umanità chiusa in casa, che cuce tute con pezze trovate per caso, mentre là fuori cade una neve mortale.
Non è complottismo, anche se capisco chi cerca in questi racconti una chiave segreta, un avvertimento nascosto.
Io non ci casco, ma non posso ignorare la sensazione che l’Eternauta — allora come ora — sussurri verità scomode.
Non siamo più sicuri nelle nostre città.
Non sappiamo più di chi fidarci.
Non sappiamo più proteggere i nostri figli dalla nevicata lenta che corrode tutto: la fiducia, l’empatia, la memoria.
Siamo tutti, in fondo, eternauti inconsapevoli.
Viaggiamo tra macerie invisibili, cucendo ogni giorno nuove tute emotive, sociali, esistenziali.
Ed è proprio mentre la sigla della serie sfuma in dissolvenza, che mi accorgo:
non basta proteggersi.
Non basta sopravvivere.
Bisogna raccontare.
Bisogna lasciare tracce.
Come Oesterheld, che pagò con la vita la sua scelta di raccontare l’invasione vera che minava il suo Paese.
Come Juan Salvo, che attraversa i secoli pur di consegnare la sua memoria a qualcun altro.
Così, stringendo tra le mani i miei vecchi fumetti, penso che l’unica vera salvezza sta nel ricordare chi siamo stati, anche quando tutto intorno ci chiede di dimenticare.
Anche quando la neve scende, silenziosa, e sembra non sciogliersi mai.
Egidio Francesco Cipriano
Immagine generata da AI