
«Ma allora… dove va a finire l’amore quando chi amavi se n’è andato?»
La domanda mi era scivolata addosso come pioggia leggera, una sera di quelle in cui la nostalgia si infila nelle pieghe del silenzio e si fa presenza.Camminavo lungo un viale di tigli spogli. Era inverno, il primo dopo la sua assenza. Quella vera. Quella che non lascia margini per un ritorno, neppure nelle fantasie.Mi fermai.
Le mani in tasca, lo sguardo perso in un lampione appannato dalla nebbia.
«Che domande fai…»
mi dissi, con una voce che sapeva di rimprovero tenero.
«Le domande che nessuno vuole sentire, ma che tutti portano dentro»
risposi.
Un tempo, avrei scritto una lettera. O lasciato che il silenzio la cancellasse. Ora no. Ora avevo bisogno di parlarmi.
«Amavi?» «Sì.» «E ora?» «Ora… la amo in un modo diverso. È come un fiore che non cresce più, ma che continua a profumare la stanza anche da secco.»
Non era poesia. Era verità. Una verità scomoda, che non si insegna. Nessuno ti prepara a convivere con un amore che non ha più un volto quotidiano, ma continua a bussare dentro.
Ricordai una frase sentita in una costellazione familiare:
“Ci sono legami che non si sciolgono, ma si trasformano. Come l’acqua che da fiume diventa nebbia, eppure è sempre acqua.”
Era questo. L’amore non se ne va. Cambia stato. Cambia stanza. Ma resta nella casa.
«Perché allora fa ancora male?» «Perché speravi che l’amore proteggesse dall’assenza. Ma l’amore vero non ha garanzie.»
Mi sedetti su una panchina. Il freddo del metallo attraversò il cappotto come se volesse svegliarmi. E in quel risveglio sentii un’altra voce, più profonda.
«Imparare ad amare anche senza possedere, senza aspettare, senza vedere. È questo che ti chiede la vita ora. Sai farlo?» «Non lo so… ci sto provando. Alcuni giorni mi sembra di sì. Altri, mi arrabbio col cielo.»
Sorrisi, con quell’ironia lieve che ti salva dal baratro.
«Lo so. Ma vedi… arrabbiarsi col cielo non cambia il tempo. Cambia te. Ti fa più vero.»
Ripensai a tutte le forme che l’amore aveva preso: la carezza di un messaggio inatteso, la rabbia per un silenzio inspiegabile, il sollievo di un sogno dove la sua voce tornava.
L’amore non era scomparso. Si era travestito da dolore, da ricordo, da briciola lasciata sulla soglia.
«E allora… guarirò?» «Guarire non è smettere di amare. È imparare a camminare con quel sentimento in tasca, senza che ti rallenti il passo.»
Mi alzai. Avevo un appuntamento con la vita. Non sapevo ancora quale. Forse solo un tè caldo, o una pagina da scrivere.Ma sapevo che l’amore non si getta. Non si spegne. Lo si custodisce in un angolo discreto del cuore, come si fa con una fotografia che non si espone più, ma che si apre ogni tanto, con cura, per ricordarsi che si è vissuti davvero.
«Grazie» mi dissi.
«Per cosa?» «Per non aver trasformato l’amore in odio. O peggio… in indifferenza.»
E mentre riprendevo a camminare, sentii che qualcosa dentro di me faceva pace. Non con il passato. Ma con il fatto che il presente, a volte, si costruisce anche con i resti dell’amore.
Egidio Francesco Cipriano
Foto generata da AI usando l’articolo come Prompt