la vendetta immaginaria di chi non è mai stato visto

Diceva spesso: «Non mi ha lasciata. Perché non è mai stato mio.»
Ma lo diceva col tono di chi ha perso qualcosa di immenso, come se le fosse stato rubato un pezzo di vita che le spettava per diritto.

Lei non aveva un nome chiaro nei ricordi di chi l’aveva incrociata. Aveva volti diversi per ciascuno. Per alcuni era l’ex strana, per altri una conoscente troppo insistente. Per altri ancora, una voce nei messaggi vocali, insistente e confusa, tra rimproveri e lamenti. Per lei, invece, quegli uomini erano tutti il volto cangiante di un’assenza originaria. Il padre.

Quel padre che preferiva i suoi modellini di trenino elettrico, i salotti con le amanti che chiamava “amiche”, la compagnia delle donne con cui rideva mentre sua madre si spegneva di silenzio. Quel padre che non la guardava. Non la vedeva. Mai.

La ferita non fu il non essere amata. Ma il non essere nemmeno notata.

«Giustizia verrà, anche se devo chiamarla io»

Il dolore aveva messo radici in lei come un’edera. Ma non si mostrava piangendo. Si faceva vendetta ruminata. Notte dopo notte, lei fantasticava. Immaginava di apparire all’improvviso sulla soglia di quell’uomo che non l’aveva mai veramente amata, con un vestito rosso e uno sguardo da dea greca vendicatrice. In quelle visioni lui si inginocchiava, chiedeva perdono. Oppure moriva. Oppure scompariva dalla faccia della Terra. Ma mai restava indifferente.

Aveva letto manuali di diritto penale. Conosceva le pene per stalking, diffamazione, accesso abusivo a sistemi informatici. Li studiava come si studia il terreno prima di un’azione di guerra: per sapere fino a dove potersi spingere senza essere presa.

E si spingeva.

Falsi profili, localizzazioni, commenti ambigui sotto post di uomini che conosceva appena. Sapeva tutto: dove lavoravano, chi frequentavano, le vacanze, le ex, le amanti. E dovevano pagarla. Tutti. Anche quelli che non avevano colpa. Soprattutto quelli che le avevano fatto credere – anche solo per un attimo – di essere amata.

Nel suo mondo interno, li colpiva con parole, veleni, gesti simbolici. In quello esterno, era solo una donna sola con un vecchio smartphone e troppe notifiche che nessuno leggeva.

La diagnosi mai ricevuta

Avrebbe potuto essere diagnosticata. Probabilmente con un disturbo della personalità. Probabilmente cluster B. Ma nessuno l’aveva mai realmente ascoltata. E lei non si era mai lasciata toccare da chi avrebbe potuto aiutarla. Perché il suo dolore era un privilegio, l’unico che sentiva di possedere. Lo custodiva come si custodisce una ferita che dà identità.

In fondo, nella sua mente, era una martire. Una figura tragica, eroica. E come in ogni tragedia, il mondo non capisce l’eroe fino a quando non è troppo tardi.

Il narcisismo non è solo grandiosità

La sua non era la forma classica del narcisismo che si mostra con successo e fascino. Era quella più profonda, vulnerabile. Una struttura dell’Io fragilissima, costruita sulla negazione di sé e sulla compensazione tramite fantasie di potere.

In psicologia si parla di ferita narcisistica primaria quando il soggetto non ha potuto sviluppare un’immagine integra e riconosciuta di sé. Quando lo specchio dell’infanzia – lo sguardo del genitore – è vuoto o distorto. Allora il Sé si frammenta e, per sopravvivere, si nutre di illusioni: che un giorno qualcuno ci veda, ci ami, ci scelga. E quando questo non avviene, la mente si vendica in vece del cuore.

La psicoanalisi ci insegna che l’agito può essere anche interno: acting out nel pensiero, nella fantasia, nella rappresentazione. In lei, ogni giorno, si consumava un processo immaginario di giustizia e punizione. Un teatro privato e costante. Ma nel mondo reale, nulla accadeva. Nulla cambiava.

Vecchiaia precoce, morte simbolica

Aveva appena cinquantotto anni, ma il suo corpo sembrava trascinarsi sotto il peso di un secolo. La pelle sottile come carta sbiadita, le vene che affioravano sulle mani ossute, i capelli ormai grigi, arruffati come i pensieri che non trovavano mai pace. Camminava per strada con lo sguardo basso, le labbra che si muovevano in dialoghi con qualcuno che esisteva solo dentro.

— “Hai visto che fine ha fatto? Adesso se la fa con quella… Quella col collo da gallina.”
— “Ma chi? Marco?”
— “Lui. Lo sapevo. Lo sapevo. L’ho sognato ieri notte che se la scopava nella cuccetta del treno!”
— “Stai zitta. Zitta! Zitta! Tanto è tutta una merda, tutto! Dai trenini di papà alle puttane su Facebook.”

Ogni tanto scattava, di colpo, come se avesse sentito una voce alle spalle. Si girava. Nulla. Solo il vuoto e le auto che passavano. Allora sibilava a mezza voce, bestemmiando il cielo e quel Dio che, se esisteva, l’aveva condannata a vivere per dispetto.

— “Dio di cartone! Maledetto tu e chi ti invoca. Fammi scoppiare, che almeno mi ricorderanno!”
— “Ma chi ti ricorda? Nessuno ti ha mai voluta, idiota. Neanche lui. Neanche tuo marito. Che se n’è andato con una che fa i reel su TikTok! Ma dai! TU! Con le frasi sugli archetipi dell’Anima. E quella con i tutorial dei trucchi.”

Rideva, poi piangeva. Poi rideva di nuovo. Le lacrime non le bagnavano più le guance, come se anche loro si fossero arrese.

Dopo la morte dei genitori — prima la madre, lenta, confusa, muta fino all’ultimo; poi il padre, con un infarto fulminante mentre era con l’ennesima badante “amica” — non rimase nessuno. Nessuno che le parlasse. Nessuno da odiare senza un motivo chiaro. Nessuno da amare male.

Aveva sposato un uomo mite, all’inizio. Forse troppo. Un artigiano, un po’ insicuro, che credeva ancora che bastasse la gentilezza per salvare un matrimonio. Ma lui un giorno si iscrisse a un gruppo Facebook per auto da modellismo non diversamente dal padre, e lì, tra foto vintage e battute, trovò una donna diversa. Frizzante, energica. Niente drammi, niente recriminazioni. Un giorno lui disse: “Con lei mi sento vivo.”

Lei rise. Pensava fosse uno scherzo. Ma lui se ne andò davvero. Le lasciò la casa, un cane vecchio, e una frase: “Tu non mi guardi più, mi sorvegli. E io ho finito di sentirmi colpevole.”

Quella frase, lei la ripeté per mesi ad alta voce.

— “Mi sorvegli… Dice che lo sorvegliavo. E certo! Uno che respira sbagliato e scrive i cuoricini alle ventenni. Cretino. Cretino. Dio mio, fai morire anche lui, che almeno siamo pari.”

Col tempo cominciò a vivere solo di spionaggi, commenti anonimi, screenshot salvati in cartelle con nomi codificati. “Giustizia”, “Traditori”, “Mai più”.

I pochi che provavano a parlarle — un vecchio amico, una cugina lontana — si arrendevano presto. Lei non ascoltava. Raccontava le sue verità, le sue ossessioni, con un tono di chi svela segreti che nessuno è pronto a capire.

— “L’ho visto. Era al supermercato con la nuova. Aveva le mani nella sua borsa. È un codice! Vuol dire che l’ha ipnotizzata.”
— “E tu che hai fatto?”
— “Li ho seguiti. Fino al parcheggio. Poi ho lasciato un biglietto sul tergicristallo. Non firmato, ovvio.”

Rideva. Un riso secco, spezzato, come chi ha dimenticato come si fa davvero.

La psicologia parla, in questi casi, di delirio interpretativo, di pensiero paranoide con tratti ossessivi, ma il cuore del problema era più antico e profondo: lei non si era mai sentita amata da viva. E temeva di essere dimenticata da morta. E allora si era costruita il suo modo di esistere: nella vendetta mancata, nella persecuzione mentale, nel rancore come carburante.

Ma la città andava avanti. Gli autobus passavano, i negozi aprivano, la gente amava e si lasciava, e rideva nei bar. Lei, no. Lei restava incastrata in un tempo che esisteva solo nella sua testa.

Morì in un giorno qualsiasi. In casa. Con il televisore acceso su un documentario e l’ennesima chat sull’ennesimo disgustato amante, una tazza di caffè freddo accanto al letto e il telefono come sempre in carica. L’ultima ricerca era: “come si fa a sparire senza lasciare traccia?”

Ma lei non era mai apparsa. Non davvero.

Mai nata, mai morta

Il vero dramma è che lei non è mai nata a se stessa. Non ha mai avuto accesso a una vita autentica. Era prigioniera del bisogno di vendetta contro un’assenza. E questa prigione l’ha accompagnata fino alla fine.

Non era cattiva. Era persa. Disperatamente alla ricerca di uno sguardo che potesse dirle: “Io ti vedo, anche se non sei perfetta.”

Ma quello sguardo non arrivò mai.

Egidio Francesco Cipriano

Immagine AI generata da lettura articolo

Egidio Francesco Cipriano

Già docente a contratto presso le Università di Teramo e di Chieti, inizia la sua attività lavorativa e di ricerca nell’ambito delle nuove tecnologie e nello sviluppo di strumenti software intelligenti, diventa Presidente della Società delle Scienze Informatiche e Tecnologiche e si occupa di Cybersecurity, CyberIntelligence e CyberCrime; è autore di diversi testi, quali “Bullismo e Cyberbullismo – Comprendere per Prevenire” per Amazon, Eucip Business & System Analyst per i tipi di Hoepli e altri; ben presto realizza che l’informatica si pone spesso come una riduzione di quello che l’uomo suppone essere la struttura della sua mente. Inizia così i suoi studi negli USA e in Italia, in ambito psicologico della comunicazione, della psicogenealogia di Annè Ancelin Schützenberger e della PNL non trascurando la Psicologia Analitica di C.G. Jung e le Costellazioni Familiari secondo Bert Hellinger. Laureatosi in Psicologia oltre che in Scienze Pedagogiche consegue in seguito tre master universitari di specializzazione in “Mediazione Familiare e negoziazione del conflitto”, “Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione” e “Didattica avanzata”. Si specializza in psico teatro per adulti e bambini ed elabora un sistema di Mindfulness transgenerazionale. Negli anni tra la sua esperienza in New York e quella in Italia pratica e si certifica come facilitatore di Terapia Cranio Sacrale e Traumatic Incident Reduction per il trattamento del PTSD (Post Traumatic Stress Disorder). Si specializza nella rilevazione del Disturbo Narcisistico di Personalità e nel supporto e recovery delle persone codipendenti da narcisisti ("vittime") . Ha ricoperto il ruolo di E-learning Manager presso la ASL di Taranto progettando e gestendo percorsi formativi in ambito sanitario. E' attualmente vicepresidente dell'associazione Aps Art 21 e presiede il comitato tecnico scientifico dell'osservatorio permanente sulla disabilità (Osperdi) occupandosi anche di Assistive Technology come supporto alle persone diversamente abili.

Di Egidio Francesco Cipriano

Già docente a contratto presso le Università di Teramo e di Chieti, inizia la sua attività lavorativa e di ricerca nell’ambito delle nuove tecnologie e nello sviluppo di strumenti software intelligenti, diventa Presidente della Società delle Scienze Informatiche e Tecnologiche e si occupa di Cybersecurity, CyberIntelligence e CyberCrime; è autore di diversi testi, quali “Bullismo e Cyberbullismo – Comprendere per Prevenire” per Amazon, Eucip Business & System Analyst per i tipi di Hoepli e altri; ben presto realizza che l’informatica si pone spesso come una riduzione di quello che l’uomo suppone essere la struttura della sua mente. Inizia così i suoi studi negli USA e in Italia, in ambito psicologico della comunicazione, della psicogenealogia di Annè Ancelin Schützenberger e della PNL non trascurando la Psicologia Analitica di C.G. Jung e le Costellazioni Familiari secondo Bert Hellinger. Laureatosi in Psicologia oltre che in Scienze Pedagogiche consegue in seguito tre master universitari di specializzazione in “Mediazione Familiare e negoziazione del conflitto”, “Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione” e “Didattica avanzata”. Si specializza in psico teatro per adulti e bambini ed elabora un sistema di Mindfulness transgenerazionale. Negli anni tra la sua esperienza in New York e quella in Italia pratica e si certifica come facilitatore di Terapia Cranio Sacrale e Traumatic Incident Reduction per il trattamento del PTSD (Post Traumatic Stress Disorder). Si specializza nella rilevazione del Disturbo Narcisistico di Personalità e nel supporto e recovery delle persone codipendenti da narcisisti ("vittime") . Ha ricoperto il ruolo di E-learning Manager presso la ASL di Taranto progettando e gestendo percorsi formativi in ambito sanitario. E' attualmente vicepresidente dell'associazione Aps Art 21 e presiede il comitato tecnico scientifico dell'osservatorio permanente sulla disabilità (Osperdi) occupandosi anche di Assistive Technology come supporto alle persone diversamente abili.

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