la svolta silenziosa del DAP sulla sessualità in carcere
«Dotto’, io mi ricordo ancora l’odore dei suoi capelli… È strano, no? Non la sua voce. Non le parole. L’odore.»
Me lo disse un giorno C., circa cinquantenne, detenuto da molto tempo. Un uomo alto, nervoso, con le mani sempre in movimento. Parlava della moglie, morta l’anno prima di un tumore, mentre lui scontava una lunga pena. Non le aveva mai più toccato la pelle da quando era entrato. E nel carcere, mi diceva, si muore anche così: a pezzi, un pezzo alla volta. Prima il tempo, poi il tatto, poi la memoria del corpo.
Oggi, a distanza di tanti anni da quel colloquio, qualcosa cambia.Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) ha finalmente aperto alla possibilità di incontri intimi per i detenuti. Una decisione che segue la storica sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 2023, che ha riconosciuto il diritto alla sessualità come diritto fondamentale anche all’interno del carcere. Un diritto, non un premio. Un’esigenza della persona, non un lusso del reo.
Il nuovo regolamento prevede, per ora, l’attivazione del progetto in 32 istituti penitenziari italiani: da Brescia a Trento, da Civitavecchia a Napoli Secondigliano. Le strutture verranno dotate di ambienti protetti, con letto e bagno, sebbene privi di serrature interne. I colloqui – concessi solo a coniugi e conviventi registrati – dureranno due ore e sostituiranno quelli tradizionali visivi, sotto discreta vigilanza esterna. Le polemiche non mancano. Pare che i sindacati della Polizia Penitenziaria hanno espresso giustamente forti riserve per possibili criticità: assenza di protocolli sanitari, rischio malattie sessualmente trasmissibili, e la solita preoccupazione per strutture inadeguate.
Solo 32 istituti su 189 hanno risposto positivamente, e che occorreranno interventi materiali e culturali. Eppure, forse, un piccolo miracolo accade proprio qui. Dove l’istituzione cede per un istante il passo all’umano.
La psicologia penitenziaria ci ricorda quanto la privazione affettiva, se protratta, sia dannosa. La teoria dell’attaccamento di John Bowlby ci offre parole preziose: “Il bisogno di intimità non si spegne nella maturità, né nel castigo.” Studi clinici (Haney, 2006; Prison Reform Trust, 2016) mostrano che l’isolamento emotivo aumenta la tendenza alla dissociazione e alla regressione, ostacolando ogni processo di reintegrazione.
Non si tratta semplicemente di “fare sesso”, ma di mantenere un legame significativo. Toccare, accarezzare, ridare confine al corpo, vuol dire spesso anche ridare direzione alla mente. Come scrisse Viktor Frankl, “La dignità dell’uomo si fonda sulla sua capacità di trovare un significato, anche nel dolore”.
I colloqui intimi saranno riservati ai detenuti senza accesso a permessi o misure alternative, e ne resteranno esclusi coloro sottoposti al regime 41-bis o coinvolti in episodi disciplinari legati al possesso di oggetti illeciti. Anche qui, la relazione sarà regolata, ma non negata.Un gesto piccolo, forse. Ma essenziale. Come il profumo di una donna ricordato tra le sbarre. Come un abbraccio atteso per anni che finalmente, forse, potrà di nuovo accadere.
Egidio Francesco Cipriano
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