
La sottile frontiera tra etica e oscurità
La porta è chiusa, la luce blu del monitor accende la stanza.
Dario — 15 anni, cuffie nelle orecchie, dita veloci — non sta giocando a Fortnite. Sta sniffando pacchetti dalla rete Wi-Fi del condominio. Sta osservando, con il sorriso di chi ha scoperto un trucco, come i telefoni vicini cadono in una trappola invisibile. Lo schermo del suo Flipper Zero si anima: il piccolo delfino ride, il contatore sale. È un gioco, pensa lui. Non sa — non ancora — che quella linea è sottile. Che poco più in là, nel buio del Dark Web, c’è chi questo gioco lo trasforma in un’arma, chi vive di ricatti, intrusioni, furti. Chi non gioca, ma fa guerra invisibile.
C’è un piccolo oggetto arancione che, nelle mani di un curioso, diventa laboratorio; in quelle di un docente, palestra didattica; e in quelle sbagliate, scintilla per incendi invisibili. Si chiama Flipper Zero e a prima vista sembra un giocattolo degli anni ’90: un Tamagotchi hacker con un delfino digitale che cresce mano a mano che si esplorano le sue funzionalità. Eppure, sotto quella estetica ammiccante e quasi infantile, pulsa un cuore tecnologico che merita di essere compreso, specialmente oggi che educatori e professionisti della sicurezza si trovano a fronteggiare nuovi rischi digitali.
Dal pentesting al gioco: le potenzialità didattiche
Il Flipper Zero nasce con l’intento dichiarato di essere un multi-tool per gli ethical hacker, ovvero coloro che testano la sicurezza delle infrastrutture digitali con il consenso del proprietario, contribuendo così alla difesa e alla prevenzione. È un dispositivo in grado di leggere, clonare e simulare una serie di protocolli wireless: RFID a 125kHz, NFC, infrarossi, Bluetooth Low Energy e segnali radio nella banda sub-GHz. Tradotto: può emulare un badge di accesso, aprire un cancello automatico, interagire con sensori di automobili o smart home e perfino inviare comandi a telecomandi senza fili. Attraverso firmware ufficiali e comunità open source, il Flipper può essere utilizzato per esercitazioni di penetration testing, simulazioni di attacchi controllati e laboratori didattici sulla sicurezza informatica nelle scuole superiori e negli istituti tecnici. Un ambiente protetto dove giovani hacker etici possono imparare non solo come si fa, ma soprattutto perché farlo nel rispetto della legge.
Le espansioni: dal giocattolo al laboratorio mobile
Il passo successivo è l’espansione. Attraverso la porta GPIO e i moduli di sviluppo, il Flipper Zero può essere potenziato con schede ESP32 dotate di firmware come Marauder, una suite che permette al dispositivo di sniffare traffico Wi-Fi, eseguire attacchi di deautenticazione (che disconnettono utenti da una rete), spam di SSID fasulli e wardriving (mappatura di reti wireless durante spostamenti). Firmware non ufficiali come Unleashed, RogueMaster e Xtreme sbloccano ulteriori funzionalità, alcune delle quali si avvicinano pericolosamente al confine tra etica e illegalità. Con l’espansione corretta, il Flipper può trasformarsi in un terminale portatile capace di lanciare attacchi BLE (Bluetooth Low Energy) come lo spoofing di AirTag, inviare richieste di pairing massivo per disturbare dispositivi, o attivare falsi portali Wi-Fi trappola (evil portal), tecniche che nei contesti giusti sono didattica e sicurezza, ma nei contesti sbagliati diventano armi digitali.
Il crimine organizzato: oltre il Flipper la didattica
È qui che occorre fare chiarezza. Chi teme che strumenti come il Flipper Zero rappresentino il massimo rischio, sbaglia bersaglio. Il Flipper è in realtà la punta dell’iceberg visibile, e per giunta una punta controllabile e, tutto sommato, entro i margini della legalità. I veri strumenti dei cracker e delle organizzazioni criminali si muovono nel sottobosco oscuro del Dark Web e sono ben più sofisticati. Mentre il Flipper richiede competenze tecniche e un certo livello di manualità, nel Dark Web si vendono dispositivi plug and play pensati per il furto industriale e l’attacco mirato. Penso, ad esempio, al famigerato Proxmark3 RDV4, usato per attacchi avanzati su badge RFID e NFC bancari, o alle Wi-Fi Pineapple della Hak5, capaci di creare reti Wi-Fi fasulle indistinguibili da quelle legittime, per rubare credenziali e intercettare traffico dati. Altri nomi circolano tra le pieghe delle indagini internazionali: il KeyGrabber per intercettare battiture di tastiera da remoto, il OMG Cable – un innocuo cavo USB dall’aspetto normale ma che integra un chip capace di lanciare payload malevoli, e infine i toolkit Rubber Ducky, vere chiavette USB che simulano tastiere e iniettano comandi a velocità supersonica nel sistema vittima. A questi si aggiungono i software: da Cobalt Strike, amatissimo da gruppi ransomware, fino a Metasploit, piattaforma di attacco modulare che nei forum underground viene spesso proposta in versioni “precaricate” con exploit zero-day non ancora noti al grande pubblico.
Educare alla sicurezza: la vera frontiera
Il rischio, quindi, non è nel Flipper Zero di per sé, ma nell’incapacità di distinguere tra uso lecito e illecito, tra etica e sfruttamento criminale. Per questo oggi più che mai serve un’educazione civica digitale capace di formare i giovani non solo sulle competenze tecniche, ma sulla responsabilità che ogni strumento porta con sé. Il Flipper Zero, con la sua estetica da giocattolo e le sue potenzialità da laboratorio mobile, può diventare un ottimo alleato nelle mani di formatori attenti: un ponte tra il gioco e la consapevolezza, tra il fascino della “magia tecnologica” e la disciplina dell’etica hacker. Ma occorre non dimenticare mai che, nelle profondità della rete, esistono strumenti che non si acquistano su Amazon né si finanziano su Kickstarter: quelli che si pagano in criptovalute e che hanno già mietuto vittime tra aziende, istituzioni e cittadini comuni.
5 Consigli per Docenti, Dirigenti, Genitori e Adolescenti
Non demonizzare, ma comprendere.
Il Flipper Zero e strumenti simili non vanno trattati come tabu o proibiti a priori: vanno studiati e compresi. Un adolescente curioso va guidato a esplorare il mondo del pentesting legale, non spinto verso l’illegalità dal divieto cieco.
Portare la cybersecurity nelle scuole.
I dirigenti scolastici dovrebbero incentivare laboratori di ethical hacking, promuovendo corsi su sicurezza digitale non come materia opzionale, ma come competenza fondamentale del cittadino di oggi.
Monitorare gli acquisti tecnologici dei figli.
I genitori devono imparare a riconoscere questi dispositivi e a dialogare con i figli sugli usi consentiti. Un Flipper Zero comprato “per gioco” può trasformarsi in un’arma se associato a firmware non ufficiali trovati nei forum sbagliati.
Formare alla consapevolezza del rischio.
Docenti e genitori devono trasmettere il messaggio che ogni tecnologia ha un doppio volto. Saper distinguere tra un uso etico e uno criminale è la vera competenza che serve oggi ai ragazzi, più ancora delle nozioni tecniche.
Creare alleanze tra scuola, famiglia e forze dell’ordine.
Le scuole dovrebbero collaborare con esperti di cybersecurity e Polizia Postale per sensibilizzare adolescenti e famiglie sui rischi concreti. Solo unendo le forze si può prevenire il salto dal gioco all’attacco reale.
Nel mio percorso come formatore nella cultura digitale, ho sempre creduto che la chiave per una vera educazione alla tecnologia sia la consapevolezza. Solo un dialogo aperto tra scuole, famiglie e professionisti può orientare i giovani verso un uso responsabile delle tecnologie. Con il Flipper Zero e i suoi simili, la questione non è solo di apprendere la sicurezza, ma di educare alla scelta consapevole. L’etica dell’hacker è la nostra difesa più potente contro le insidie della rete.
La sfida educativa è insegnare a vedere la differenza — e a scegliere da che parte stare.
Egidio Francesco Cipriano
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