
Stringere amicizia con l’intelligenza artificiale significa accompagnare il progresso, rimanendo al tempo stesso saldi nella nostra cultura
Sempre più rilevante il tema dell’IA, con esperti del settore, sociologi, addetti al campo, insegnanti, filosofi, intellettuali, pronti a discuterne dai social, dalle piattaforme televisive e sui mezzi di informazione. Siamo in un punto in cui non è possibile tornare indietro: i progressi nel campo informatico sono elevati al punto da rappresentare un concreto aiuto e un passo storico in avanti. Ogni balzo indietro da parte di ciascun individuo, nel rispettivo settore lavorativo, potrebbe rappresentare una differenza semi irrilevante sul piano globale (a chi importa se un certo avvocato, per citare un esempio, non la utilizza, e un altro si?) , ma assai importante sul piano professionale, non rimanendo più al passo con la concorrenza.
Così, il dibattito pubblico oscilla come un pendolo: da un lato, un certo pessimismo leopardiano esagerato e stracolmo di malinconia bigotta, dall’altro un estremo opposto. La virtù è sempre nel mezzo: è possibile avvalersi di questo strumento per apprendere una quantità pressoché infinita di nozioni, per allargare lo studio oltre i libri, per sviluppare il senso critico e studiare meglio e più velocemente. È possibile utilizzarlo come un compagno di viaggio. Non ci sostituisce, ma ci aiuta ed integra.
Diverso è il discorso sul piano scolastico e da parte di studenti di scuole medie o superiori o, peggio, elementari. Torna alla mente un ricordo indelebile: tutti i lunedì si faceva il tema in classe a scuola. Potevamo dire le nostre idiozie: il nostro ragionamento, anche errato, era la prova tangibile di un pensiero critico e del nostro libero linguaggio. Che succede, allora, quando quel linguaggio possiamo demandarlo come e quando vogliamo a qualcuno? Che succede quando possiamo “ordinare” istantaneamente un tema, scritto in un certo modo e con certi errori? Un lavoro da manuale: trenta secondi per sprecare del potenziale e per apprendere di meno. Trenta, per entrare in un vortice che, se attraversato male, non ci aiuta affatto.
Allora, abbiamo chiesto direttamente a chat gbt cosa ne pensasse, e la risposta è indistinguibile da un umano:
Cosa pensi dell’intelligenza artificiale e del fatto che possa impoverire gli studenti di scuola?
“L’intelligenza artificiale, come ogni tecnologia potente, può essere sia un’opportunità che un rischio. Dipende da come viene usata. Se gli studenti la usano solo per copiare, evitare lo sforzo e avere risposte facili, allora sì: può impoverirli, ridurre il pensiero critico, la capacità di scrivere, argomentare, sbagliare e imparare. È come una calcolatrice usata da chi non ha mai imparato le tabelline.
Ma se invece viene usata come uno strumento di apprendimento — per approfondire, farsi spiegare un concetto difficile in modo più semplice, confrontare più opinioni, o migliorare i propri testi — allora può potenziare lo studio e sviluppare competenze.
Il problema, quindi, non è l’IA in sé, ma la scuola che non educa al suo uso consapevole. Gli studenti devono imparare quando, come e perché usarla — proprio come si impara a usare internet, i libri o un’enciclopedia.”
Risposta magistrale. Ci sono rimasti ancora degli strumenti, come la creatività, la passione, l’individualità, la personalità. È nostro compito rimanere saldi nella nostra cultura e saperli sfruttare in maniera complementare al progresso.