
Certe immagini non si dimenticano. Non tanto perché siano scioccanti o violente, quanto perché si insinuano silenziosamente nel modo in cui impariamo ad amare. L’animazione giapponese, con le sue luci morbide e gli sguardi infiniti, ha da tempo valicato i confini culturali, trasformandosi in una lente attraverso cui milioni di adolescenti — e non solo — osservano il mondo, i legami, sé stessi. Eppure, in quella lente, qualcosa si deforma. Qualcosa si smarrisce.
Nel mio studio, accade sempre più spesso che a parlare siano adolescenti chiusi in una geografia emotiva appiattita, dove l’intimità reale non ha più coordinate riconoscibili. Parlano di sé con parole apprese altrove, magari nelle trame di una relazione fittizia, seguita in silenzio dietro uno schermo. Hanno occhi lucidi e domande spezzate: “Perché non provo più nulla?”, “Perché ho paura se qualcuno si avvicina davvero?”
Non sto parlando di dipendenza da pornografia in senso stretto. È qualcosa di più sottile. Qualcosa che ha a che fare con l’immaginario erotico, con il modo in cui viene costruito — o colonizzato — sin dalla preadolescenza. E in questo, sì, anche gli hentai e certi anime hanno un ruolo più profondo e meno innocuo di quanto si voglia credere.
Il corpo senza corpo
L’hentai è una zona ambigua. Il corpo animato non è reale, eppure ha un impatto sul corpo reale. Non tocca, ma attraversa. La sessualità che vi viene rappresentata è spesso iperbolica, spersonalizzante, strutturata su dinamiche di dominio, stereotipi di genere, e situazioni che nella realtà sarebbero eticamente e legalmente inaccettabili. Eppure, proprio per questo, viene spesso considerata “sicura”. È finzione, si dice. Non fa male a nessuno.
Eppure, la mente non distingue facilmente tra ciò che è reale e ciò che è ripetuto simbolicamente con carica emotiva. Uno studio condotto da Kohut, Fisher e Campbell (2010) ha messo in luce come l’esposizione frequente all’hentai sia associata a maggiore permissività verso comportamenti sessuali devianti e a minore empatia verso i partner. Anche in soggetti non clinici, l’uso regolare di pornografia animata è correlato a un incremento della solitudine affettiva e alla difficoltà di vivere relazioni sentimentali complesse.
Una ricerca del 2021 pubblicata sul Journal of Adolescent Health (Wright et al.) ha aggiunto un tassello importante: l’esposizione a contenuti sessuali violenti, anche animati, è significativamente associata all’aumento di atteggiamenti che giustificano o minimizzano l’aggressione sessuale. È l’apprendimento sociale di Bandura, in una versione silenziosa e digitale. Osservi, desideri, assimili.
E il sé? Si forma nell’intervallo tra l’esperienza e il riconoscimento dell’altro. Ma se l’altro non è mai reale, se il corpo non è mai caldo, se lo sguardo non è mai davvero restituito, allora il sé rischia di frantumarsi in mille frammenti idealizzati, incapaci di incarnarsi. Si perde il gusto dell’attesa, la bellezza della scoperta reciproca. Scompare quella fragile magia del “non sapere ancora”, che tanto nutre il desiderio autentico. Il senso della scoperta, quella tensione verso l’ignoto dell’altro che costruisce l’intimità, viene sacrificato a favore di una soddisfazione immediata, ripetitiva, prevedibile.

La tenerezza smarrita
Anche certi anime, pur non essendo esplicitamente erotici, contribuiscono a questa costruzione simbolica deformata. Alcune narrazioni, specie quelle destinate a un pubblico maschile adolescente (shōnen e seinen), sono piene di fan service: ragazze eternamente minorenni ma sessualizzate, dinamiche affettive infantilizzate, corpi esposti come icone da collezione.
La sessualità diventa uno spettacolo da osservare, non un’esperienza da vivere. La tenerezza si smarrisce. La vergogna sana — quella che accompagna il primo desiderio vero — viene bypassata da una sovraesposizione di corpi finti, sempre disponibili, sempre codificati. Nella mia pratica clinica, incontro ragazzi che sanno “come si fa” ma non sanno “cosa si sente”. Hanno parole pornografiche sulle labbra e il vuoto nel cuore.
E questi effetti non si esauriscono con l’adolescenza. Continuano. Strisciano nell’età adulta sotto forma di relazioni sterili, performance emotive vuote, desideri disincarnati. Il senso della scoperta viene sostituito dalla compulsione alla ripetizione. E quando il corpo reale entra davvero in scena, è spesso fonte di frustrazione: non è come nei video. Non è come nei sogni. Non è come negli anime.
Non è abbastanza.
Immaginari e futuri
L’immaginario è un campo di battaglia invisibile. Lo diceva bene Cornelius Castoriadis: non si tratta solo di rappresentazioni, ma di ciò che dà forma alla realtà stessa. Quando il desiderio si struttura su fantasie distorte, iper-controllate, esteticamente irrealistiche, la realtà può solo deludere. O peggio: può far paura.
Certo, non si tratta di demonizzare gli anime in quanto tali. Esistono opere meravigliose, che educano all’empatia, all’interiorità, alla resilienza (Your Name, A Silent Voice, Spirited Away o “La città incantata“…). Il problema, semmai, è l’assunzione inconsapevole e acritica di questi contenuti come riferimento affettivo, soprattutto in età evolutiva. Quando non c’è un adulto (vero e possibilmente risolto) che accompagna, quando manca il tempo per metabolizzare ciò che si è visto, il rischio è che quelle immagini diventino il copione inconscio dell’amore.
E a quel punto, l’incontro con l’altro — l’amore, quello vero, quello che richiede pazienza, presenza, vulnerabilità — non sarà più un’opportunità, ma un’impossibilità. O peggio, una minaccia.
Una riflessione necessaria
La mia esperienza clinica, pur non generalizzabile, converge con ciò che la ricerca inizia a suggerire: che i mondi digitali, specie se erotizzati o affettivamente ipersemplificati, interferiscono con la costruzione di un sé sessuato, relazionale, incarnato. E che se non aiutiamo le nuove generazioni a riconoscere il confine tra immaginazione e realtà, tra desiderio e consumo, rischiamo di crescere adulti che non sanno più amare. Non perché non vogliano. Ma perché nessuno ha mostrato loro come si fa davvero. Nessuno ha protetto la loro possibilità di stupirsi.
E in fondo, senza stupore e senza magia, l’amore non nasce. Si ripete. E lentamente, si spegne.
Onore a Maestro Miyazaki e alla sua Poesia
Egidio Francesco Cipriano
Immagini castamente generate da AI