
Giorgio Di Antonio
Si parla molto di pace in questi tempi di guerra diffusa, in molti punti del mondo le armi crepitano e provocano morte e distruzione. Se la pace non è tutto, tutto senza la pace diviene nulla. Provate ad immaginare le esigenze essenziali negate, un bicchiere di acqua pulita, un pasto decente, le cure urgenti per i malati, le sofferenze dei bambini a cui vengono negati i pannolini, il latte, il gioco … atrocità insensate per quello che chiamiamo genere umano, a pensarci bene dovremo abituarci a definirci genere disumano.
E allora operare per la pace diviene il punto centrale di qualsiasi azione, anche delle nostre ininfluenti povere idee.
Già, la pace, ma come la si ottiene? Essa non è uno stato di grazia, bisogna operare per averla. Ora una delle posture più accreditate per restare in pace è la deterrenza. Cosa vuol dire in poche semplici parole? Vuol dire che il mio assetto di difesa è talmente credibile da scoraggiare chiunque ad attaccarmi militarmente, il conto dei danni che riceverebbe a seguito di un attacco da parte della mia difesa è così squilibrato che si evita infine di attaccare. In termini più estremi è il concetto che fino ad oggi ha impedito che si usassero le armi nucleari in un conflitto, con l’eccezione dell’uso sul Giappone nella Seconda guerra mondiale, ma in quel tempo gli USA erano i soli a possedere la “bomba”.
Dunque, deterrenza come pilastro per la pace. Per alimentare una deterrenza credibile c’è dunque bisogno di forze armate valide, efficienti, pronte, di schemi di alleanze vasti e coesi, di adeguate spese per le forze armate e gli armamenti. Naturalmente si può opporre il pensiero che sarebbe più utile investire in scuole e ospedali, in istruzione, in assistenza sociale, in aiuti agli anziani, ma purtroppo questi sanissimi desideri confliggono con l’idea della sicurezza e con quello che succede nel mondo negli ultimi anni.
Il fatto è che non si può aspettare che la minaccia si concretizzi per mettere in piedi un adeguato sistema di difesa, soprattutto oggi i sofisticati sistemi di armamento hanno bisogno di molti anni per essere dispiegati, non si possono certo acquistare in tutta fretta al supermercato. Questo vuol dire che non solo bisogna destinare risorse alla difesa ma nello stesso tempo c’è bisogno di una attenta pianificazione pluriennale.
E allora cosa dovremmo fare? Riporto qui in pillole alcune idee, che paiono a me convincenti, di uno studioso Britannico, il Prof. Justine Bronk del RUSI (Royal United Service Institute) di Londra, che ha molto approfondito questi temi soprattutto in connessione con gli sviluppi ed esiti della guerra tra Russia e Ucraina. Dunque, in estrema sintesi la guerra Russo-Ucraina ci ha trasferito alcuni dati non discutibili, la Russia (ma non solo, altri stati preparano eserciti per usarli) tenta di risolvere controversie “regionali” con le armi, l’occidente oppone un vasto piano di aiuti diretti alla parte aggredita e un programma di riarmo di grandi dimensioni. La Russia ha dimostrato una inadeguatezza e una grande fragilità nell’uso delle forze aeree e navali, maggiore capacità nell’uso dello strumento terrestre. Anche il sistema industriale produttivo di armamenti Russo ha mostrato punti deboli nel realizzare aerei, droni, navi, munizionamento, mentre mostra capacità nel settore dei corazzati e della missilistica. Ora in breve bisogna capire questa lezione, non ci sarà tempo sufficiente per poter mettere in piedi esercito, artiglieria, missilistica e corazzati utili ad affrontare la minaccia, l’unica cosa che sensatamente può fare l’Europa è investire su aerei e navi, nel settore cioè in cui è in vantaggio, e che consente rapidamente di opporre una forte deterrenza ad eventuali tentativi di aggressione. Se c’è un punto debole incontrovertibile è che le truppe Russe hanno avuto problemi non potendo contare su una adeguata copertura aerea, ogni avanzata è costata un tributo di uomini e materiali decisamente insostenibile. Inoltre, il confronto con l’Ucraina nel Mar Nero (una nazione senza Marina) si è concluso con l’annientamento della flotta Russa del Mar Nero causata da droni navali ed azioni di incursori.
Il Prof. Bronk suggerisce di investire pesantemente nella superiorità aerea e nella soppressione delle difese antiaeree, cosa peraltro già in corso, i tempi di dispiegamento sono relativamente brevi, anche se i costi decisamente elevati (un caccia Eurofighter EF 2000 costa circa 100 mln di € ad esemplare). In aggiunta per come si è configurata la logistica e la catena di procurement l’Europa può essere in questo settore abbastanza indipendente dagli USA, salvo che per lo F 35 che sarà dedicato maggiormente allo “strike atomico”.
E’ uno scenario che pare essere percorribile, ed anzi già intrapreso da qualche paese, ingenti investimenti che ci consentano in tempi rapidi di ottenere una difesa e una deterrenza solida, credibile.
Certo non possiamo non citare una posizione che sostanzialmente dice: “l’unica mossa da fare è non costruirle le armi, se le costruisci finisci per usarle. E rinunciare alla difesa, ad un esercito, alla deterrenza, la misura più rivoluzionaria possibile oggi per favorire la pace”.
E’ un’ipotesi suggestiva, forse anche giusta, ma il rischio di arrendersi a chiunque “non capisca” e ti ritenga facile terreno di conquista è elevato e con questo si finirebbe per sottoporre un intero popolo indifeso ad angherie e violenze di tutti i tipi, un rischio che visti i tempi rimane reale.
La Chiesa Cattolica già in passato si trovò ad affrontare, anche in termini Teologici, la questione dell’uso della violenza a fin di bene, dell’uso delle armi per difesa.
Fu la teorizzazione del “Malicidio” che armò la mano dei Cavalieri Templari contro il male con la benedizione di Dio. Ma francamente oggi la Chiesa sembra essere assai lontana da quella elaborazione.
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