
Quando la bellezza diventa cura profonda
Ci sono corpi che parlano prima ancora di aprire bocca. Corpi che hanno attraversato il fuoco delle cure, il gelo della diagnosi, l’umiliazione di un cambiamento imposto. Non scelto. Corpi che, un tempo pieni di gesti quotidiani — una passata di rossetto, la cura di una barba, una crema che raccontava la sera — si ritrovano improvvisamente spogliati di identità.
La malattia, si sa, non colpisce solo l’interno. È l’esterno che fa da messaggero, da specchio. La pelle si fa secca, il volto si svuota, i capelli cadono come foglie d’autunno su un terreno che non riconosce più la primavera. Eppure, proprio lì dove si crede di aver perso tutto, può nascere un’altra possibilità: ricominciare a vedersi. Non come si era, ma come si è. E da lì, piano, come si può diventare.
Da lunedì 16 giugno, parte proprio a Taranto un nuovo progetto di estetica oncologica con la persona al centro presso l’Ospedale Moscati di Taranto nel quartiere Paolo VI realizzato grazie alla collaborazione del servizio di Psicologia Clinica, Oncologia Medica e Apeo.
l‘APEO è l’Associazione Professionale di Estetica Oncologica. Le specialiste estetiche e oncologiche APEO, lavorando in sinergia con le terapie mediche per proteggere la pelle dai potenziali effetti tossici, trattano esclusivamente le tossicità cutanee e le principali problematiche alle unghie di mani e piedi, oltre che trattamenti miorilassanti con dei protocolli validati e certificati, pubblicati in uno studio clinico pilota approvato dal comitato etico dell’istituto europeo di oncologia e pubblicato su PubMed.
Tra loro Mariella Carbotti, Monica Mappa e Loredana Mancino che le persone in terapia potranno incontrare gratuitamente al lunedì mattina tra le 09:00 e le 13:00 prenotando via e-mail all’indirizzo prenotazioniasltaranto@esteticaoncologica.org o tramite WhatsApp al numero +393407662992

Quando il corpo parla l’anima ascolta
L’estetica oncologica non è un trucco. È un atto d’amore. È prendersi cura del visibile per parlare all’invisibile. Toccare la pelle per rassicurare il cuore. Modellare le sopracciglia per riaccendere lo sguardo. Infilare un turbante con la grazia che si riserva alle cose preziose.
È un modo per rientrare nella propria immagine, quando lo specchio sembra restituisca solo assenza. Una forma di silenzioso sostegno psicologico, che passa attraverso il contatto, la delicatezza, l’attenzione. Che dice: “Io ci sono. Anche adesso. Anche così”.
Come psicologi lo sappiamo: l’identità passa per il corpo. Per ciò che vediamo riflesso, per come ci sentiamo guardati. Se il corpo è ferito, l’anima tende a ritrarsi. Ma se qualcuno si prende cura del corpo in modo profondo, rispettoso, autentico, allora qualcosa si muove anche dentro. A volte basta uno sguardo nuovo per evitare un baratro. Una coccola per scongiurare la caduta. Una linea di matita per impedire la disperazione.
Il gesto che salva: più di una carezza
Le estetiste oncologiche non sono solo operatrici della bellezza. Sono artigiane dell’identità. Persone formate per trattare con mani lievi e cuore presente le fragilità chemioterapiche, le pelli violate dalla radioterapia, i corpi stanchi. Sanno come accarezzare senza invadere. Come restituire dignità senza cancellare il dolore.
Offrono trattamenti che idratano, leniscono, rasserenano. Ma soprattutto, ascoltano il corpo là dove le parole non bastano più. Sanno che il tocco non è solo epidermico, ma simbolico: è memoria, è riconoscimento, è testimonianza che si è ancora vivi, ancora degni di essere toccati, visti, amati.
E a volte — anche se non si può dire con certezza — è proprio quel gesto che cambia la traiettoria di un’anima. Perché sentirsi visti, anche solo per un’ora, può far tornare il desiderio. E il desiderio è già guarigione.
Non si tratta di bellezza. Si tratta di verità
In fondo, non si cerca un viso perfetto. Si cerca un viso che racconti una storia, che possa ancora sorridere, anche se stanco. Un viso che non si vergogna di mostrarsi, anche se segnato. Un viso che dice: “Sono qui. Ho sofferto. Ma non mi sono arreso”.
Questa è l’estetica oncologica. Non l’illusione del prima, ma la dignità del presente. Non l’occultamento della sofferenza, ma la sua trasfigurazione. È un modo per dire al corpo: “Tu vali, anche adesso. Anzi, soprattutto adesso”.
Uno specchio come soglia
Nella psicologia del profondo, lo specchio è simbolo di passaggio. È la soglia tra l’io e l’altro, tra ciò che vediamo e ciò che siamo. Guardarsi nello specchio, durante o dopo la malattia, può diventare atto sacro. E farlo con qualcuno accanto, che non giudica, che non aggiusta ma accompagna, può trasformare un momento di dolore in un rito di riconsacrazione del sé.
Non è follia pensare che il corpo, sentendosi curato con rispetto, risponda meglio anche alle terapie. Che l’anima, sentendosi vista, ritrovi forze che sembravano perdute. È il mistero dell’essere umano: quando si sente amato, guarisce un po’ di più.
Il potere sottile della bellezza che non inganna
L’estetica oncologica non salva dal cancro, ma salva dalla disumanizzazione. E forse, a suo modo, previene anche il peggio: la rinuncia, la chiusura, la solitudine interiore. Non si può guarire sempre, ma si può vivere meglio il cammino.
E chi si vede bene — e si sente accolto — ha più voglia di vivere. Più forza per affrontare la terapia. Più speranza per affrontare il futuro. E, in certi casi, più coraggio per lasciar andare, con grazia.
Perché anche morire, se accolti nella bellezza, può diventare un ultimo gesto di presenza.
Conosco personalmente le operatrici e sono persone davvero eccezzionali, le che potrete incontrare gratuitamente prenotando via e-mail all’indirizzo prenotazioniasltaranto@esteticaoncologica.org o tramite WhatsApp al numero +393407662992
Egidio Francesco Cipriano
Immagine generata AI










