
«Sembrava di essere in un romanzo fantasy di Tolkien».
Così ha raccontato un uomo operato al cuore presso l’ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo in giugno 2025, al risveglio – o meglio, al ritorno – da un’operazione di chirurgia mini invasiva durata quattro ore, vissuta interamente in uno stato di ipnosi cosciente. Nessuna anestesia generale, nessun dolore percepito, solo la voce ferma e rassicurante di un’ipnologa al suo fianco. In sala operatoria non c’era solo la medicina: c’era la narrazione.
Non è fantascienza. È scienza. È immaginazione al servizio della biologia.
Ipnosi clinica: tra trance e precisione
L’ipnosi, in ambito clinico, non è una sospensione della coscienza, ma una sua raffinata modulazione. È uno stato modificato della percezione, dove il corpo e la mente, invece di irrigidirsi di fronte al trauma o all’ago, imparano a danzare tra suggestioni, immagini e simboli. Si attiva un ascolto profondo del linguaggio interno, come se la realtà fosse filtrata da una lente narrativa che la rende più tollerabile, più umana, a tratti persino epica.
Milton H. Erickson, medico e psichiatra statunitense, ne fu il principale artefice nella sua forma moderna. Non concepiva l’ipnosi come atto impositivo, ma come un dialogo creativo tra terapeuta e paziente. La trance, diceva, è uno stato naturale della mente, simile a quello che sperimentiamo quando siamo completamente assorbiti in un ricordo, in un paesaggio, in una pagina di romanzo. Ed è in questo stato che la mente inconscia può comunicare con il corpo.
Anche nel mio lavoro clinico, dove accompagno pazienti in stati di coscienza stratificati e ricchi di simboli, utilizzo con cura e rispetto il cosiddetto Milton Model: una comunicazione ipnotica che non impone, ma apre. È una porta che lascia entrare le immagini giuste, al momento giusto. A volte sono proprio le parole sfumate, le pause, le metafore che aprono varchi là dove il dolore si era fatto roccia.
Una rete di cuori che ascoltano
L’intervento piemontese non è un caso isolato. Presso l’Ospedale Niguarda di Milano, già nel 2019, un’équipe cardiochirurgica ha effettuato la sostituzione di una valvola aortica interamente sotto ipnosi. Il paziente, anziché essere sedato, era in uno stato di coscienza vigile, guidato dalle parole dell’ipnologa in un percorso di immagini, ascolti interiori e fiducia. Un atto chirurgico, ma anche un rito di passaggio emotivo e narrativo.
Ad Asti nel 2023, presso la Clinica San Giuseppe, il dottor Roberto Scaglione ha condotto un intervento al cuore che ha fatto il giro del mondo per la sua particolarità: una donna operata senza anestesia totale, con la sola guida dell’ipnosi.
Ernest Rossi e il dialogo con l’inconscio biologico
Negli anni in cui vivevo a New York City, ho avuto il privilegio di assistere ad alcuni seminari tenuti da Ernest Rossi, che ampliò il lascito ericksoniano in direzione di una vera e propria psicobiologia della guarigione. Secondo Rossi, l’ipnosi può influenzare i ritmi ultradiani, attivare geni benefici, modulare il sistema immunitario, avviare processi autoriparativi. Parlava di stati di trance facilitati biologicamente, dove il cervello entra in sincronia con le fasi naturali del corpo e può, attraverso il linguaggio simbolico, orientare il proprio stesso metabolismo.
Ricordo ancora con chiarezza il suo modo gentile di raccontare come ogni cellula potesse “ascoltare” una narrazione terapeutica. È una prospettiva che porto nel mio lavoro quotidiano, non come promessa miracolistica, ma come possibilità reale, rispettosa della complessità del vivente.
Il viaggio come analgesico
Nel caso dell’intervento piemontese, il paziente è stato guidato dentro un mondo immaginario ispirato alla letteratura fantasy. Ha vissuto l’operazione come un’avventura. Il dolore è stato, letteralmente, narrato fuori dallo scenario corporeo. Non negato, non rimosso, ma trasfigurato. E mentre il chirurgo interveniva sul cuore reale, la mente del paziente si muoveva tra boschi, fuochi e incontri simbolici.
È qui che l’immaginazione si fa medicina.
Le moderne neuroscienze confermano ciò che Erickson intuì empiricamente: l’uso mirato dell’immagine mentale modula le reti neuronali del dolore, coinvolge la corteccia prefrontale, riduce l’attività dell’amigdala e stimola la produzione di endorfine. L’ipnosi, se condotta da professionisti formati, non solo è sicura: è spesso più efficace di molti sedativi farmacologici, perché agisce in modo integrato, rispettando l’individualità del paziente.
Oltre la tecnica: la cura come narrazione condivisa
È necessaria però una premessa importante: l’ipnosi non è una “tecnica da applicare”, ma un ambiente da costruire. Presuppone empatia, tempo, ascolto. Non si può improvvisare. Chi pensa che basti una voce calma e qualche parola giusta, sottovaluta la profondità dell’inconscio e la delicatezza del patto terapeutico. Chi la riduce a spettacolo, ne tradisce l’essenza.
In ambito chirurgico, l’ipnosi apre uno spazio nuovo, ancora poco esplorato: quello in cui il paziente non è più solo corpo da riparare, ma soggetto consapevole che partecipa, anche nel dolore, al proprio processo di guarigione. Un processo che non esclude la tecnologia, ma la integra in una cornice più umana.
La voce dell’ipnologa, in sala operatoria, non era accessoria. Era terapeutica. Era presenza. Era il filo di Arianna che ha permesso al paziente di attraversare il proprio inferno e uscirne senza ustioni.
Il cuore sa ascoltare
Curare non è solo un atto tecnico. È un gesto simbolico. L’ipnosi clinica, quando è ben condotta, ci ricorda che ogni essere umano possiede dentro di sé mondi vasti, pronti ad essere esplorati, non per fuggire, ma per guarire. Non per negare la realtà, ma per reimmaginarla.
Forse, in un’epoca in cui la medicina rischia di diventare fredda, algoritmica, disincarnata, esperienze come queste ci riportano al centro della questione: la cura è anche relazione. La parola è farmaco. E il corpo, se ascoltato con rispetto, può diventare alleato di un processo che non guarisce solo il muscolo, ma la persona intera.
In fondo, ogni paziente ha dentro di sé la propria Terra di Mezzo. Basta avere il coraggio – e la competenza – per accompagnarlo lungo il cammino.
Egidio Francesco Cipriano
immagine generata AI