
Leo Zeff, la cura nell’ombra. Psichedelia nei salotti americani post-Vietnam.
Il salotto era pieno di cuscini. Tende chiare filtravano una luce calda che sembrava venire da un tempo precedente la guerra. C’erano quadri alle pareti, libri di Jung, tazze con infusi profumati e una fotografia in bianco e nero di un uomo con barba e occhi profondi: Leo Zeff. Nessuno lo chiamava così, ma chi lo conosceva sapeva. Lo chiamavano The Secret Chief.
Il suo studio odorava di incenso e legno d’olivo. C’erano tappeti che sembravano raccontare storie orientali e statue tibetane accanto a piccoli vasi di fiori raccolti all’alba. In un angolo, un piccolo giradischi suonava Bach o Satie, a seconda dello stato d’animo. Era un rifugio, ma anche un portale.
Clara arrivò alle 16:00. Era l’aprile del 1976. Indossava un abito di lino e portava con sé un dolore muto, come un animale ferito che si annida tra le costole. Aveva perso un fratello in Vietnam. Non in battaglia, ma dopo. Tornato con gli occhi vuoti, il silenzio tagliente, la colpa appesa al collo come una medaglia. Si era impiccato sei mesi prima. Lei non riusciva più a dormire. Viveva in apnea.
Leo la accolse come un padre che ha imparato a non forzare. Parole lente, mani ferme. Nessuna promessa. Solo una proposta: “La sostanza non guarisce. Ma apre. E tu, forse, sei pronta a guardare.”
La stanza dove si svolgeva il rito era preparata con precisione sacra. Ogni oggetto aveva una funzione: le immagini archetipiche, la luce tenue, il diario da riempire dopo. Prima di iniziare, Clara scrisse su un foglio: “Io permetto alla verità di mostrarsi.” Poi prese la capsula.
La sostanza agì con lentezza, come se bussasse gentilmente. I primi minuti furono strani: le pareti respiravano, i colori si allungavano. Poi arrivò il crollo. Le difese si sbriciolarono come sabbia secca. Ciò che accadde nelle ore successive, Clara lo raccontò anni dopo, su un quaderno dalla copertina di cuoio. Scrisse di un prato che diventava liquido. Di un bambino che piangeva sotto un albero. Di suo fratello che le prendeva la mano e le diceva: “Non portare il mio dolore. Non era tuo.”
Vide anche la madre, con le mani sporche di terra, e un uccello ferito che riprendeva a volare. Ogni immagine non era simbolo, ma realtà viva. E tutto era intriso di un amore che non giudicava. L’amore che non salva, ma accompagna.
Leo rimase con lei, in silenzio. Solo ogni tanto le chiedeva: “Sei al sicuro?” E lei annuiva. Come una bambina che, per la prima volta, non ha più paura del buio. Clara sentì che non doveva più combattere. Poteva respirare. Poteva essere fragile senza crollare.
Quando la musica finì, Clara sentì che qualcosa in lei si era sciolto. Non tutto. Non per sempre. Ma abbastanza per iniziare a vivere senza stringere i pugni ogni notte. Dormì per la prima volta senza sogni violenti. Il giorno dopo, si svegliò con un pensiero semplice: “Sono viva.”
Prima di andare via, Leo le disse: “Nessuna verità ha senso senza gentilezza. Ricordalo.”
Negli anni successivi, Clara tornò altre volte. Non solo come paziente, ma come allieva. Leo le insegnò il valore del set and setting, la necessità del contenimento, la responsabilità assoluta del terapeuta psichedelico. Le raccontò di quando, negli anni ’50, la psicoterapia con LSD era una frontiera viva, e di come tutto fu chiuso per paura, per politica, per ignoranza.
Le mostrò lettere scambiate con Stanislav Grof. Registrazioni di pazienti che, sotto LSD, parlavano con voce da bambini o visualizzavano scene ancestrali. Leo non mitizzava. Era concreto, radicato. Diceva sempre: “Le visioni sono solo porte. Non restare davanti, entra.”
Clara conobbe anche altri terapeuti clandestini. Una piccola rete di anime resistenti che lavoravano nel silenzio, tra salotti, boschi e stanze in affitto. Alcuni erano psichiatri espulsi dagli ordini. Altri sciamani laici. Tutti uniti da un’etica profonda: restituire alla psiche la dignità del mistero.
In una delle ultime sessioni con Leo, Clara vide se stessa nascere. Non in senso metaforico. Vide la sala parto, le mani che la sollevavano, la voce della madre che cantava piano. E poi una luce, non bianca, ma color ambra. Disse a Leo: “Sono sempre stata.” Lui sorrise. “Ora puoi iniziare davvero.”
Clara oggi ha settant’anni. Vive nel nord della California. Accompagna persone in viaggi interiori, sempre con delicatezza, sempre in punta di piedi. Non usa la parola guarigione. Parla di memoria, di contatto, di ascolto profondo. Ha formato decine di giovani terapeuti. Alcuni usano solo la parola. Altri, quando le condizioni sono giuste, aprono la porta delle piante sacre.
Ogni volta che chiude gli occhi accanto a qualcuno che affronta il proprio inferno, sente ancora la voce calma di Leo: “Sei al sicuro?“ E in quel momento, ogni cosa si raddrizza. Come se anche l’universo, per un attimo, trovasse postura.
Egidio Francesco Cipriano
Note dell’autore
Clara è un personaggio immaginario, ma costruito per incarnare una figura storicamente e psicologicamente plausibile. E’ una donna di 35 anni, insegnante di lettere classiche, profondamente colpita dalla morte del fratello reduce dal Vietnam. È colta, sensibile, legge Rilke e Hillman, e vive con un dolore interiore silenzioso che la spinge a cercare qualcosa oltre le parole della psicologia convenzionale. La sua esperienza con Leo Zeff – il terapeuta clandestino realmente esistito – rappresenta il passaggio da una condizione di apnea emotiva a una rinascita dolce e responsabile, attraverso un uso terapeutico e consapevole degli psichedelici.Clara non è solo una “paziente”. Col tempo diventa anche un’allieva e, infine, una terapeuta: è il simbolo della trasmissione etica del sapere psichedelico da una generazione pioniera e invisibile a quella contemporanea. La sua figura sintetizza il trauma post-bellico, la trasformazione interiore e la continuità storica del lavoro terapeutico sommerso ma profondamente umano.In breve, Clara è il volto umano della guarigione possibile. La sua storia è una testimonianza narrativa del potere trasformativo della psicoterapia psichedelica quando praticata con rigore, amore e umiltà.
Nota bibliografica
- Stolaroff, M. (2004). The Secret Chief Revealed: Conversations with Leo Zeff, Pioneer in the Underground Psychedelic Therapy Movement.
- Eisner, B. G. (1997). “Set, Setting, and Matrix” in Journal of Psychoactive Drugs.
- MAPS (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies). Documenti d’archivio sul lavoro di Leo Zeff e i terapeuti underground.
- Sessa, B. (2012). The Psychedelic Renaissance.







