
Sono diverse – talvolta contrastanti – le analisi sul conflitto tra Israele e Iran, che da pochissimo prosegue anche con l’apporto esplicito degli USA. Un conflitto atteso da molto tempo, una provocazione reciproca tra due stati che si odiano, nonché una vera e propria guerra esistenziale.
Israele, dal suo canto, dirà che il conflitto era necessario per scongiurare la creazione dell’atomica, ma la frase è sentita e risentita da decenni. L’Iran dichiarerà ancora che l’utilizzo dell’uranio arricchito è a scopo civile (ma come? considerando che ha altamente superato la soglia del 3,67% prevista dagli accordi, e in ogni caso la soglia massima di raccoglimento dell’uranio per scopi civili).
E ancora: Netanyahu è in difficoltà, poiché pendono a suo carico dei processi penali in corso e due fronti di guerra aperti (nemmeno così distanti, calcolando che Hezbollah e Hamas sono le braccia del serpente, e Teheran la sua testa) potrebbero essere utili proprio a garantire una sua sopravvivenza politica.
L’attacco recente ordinato da Donald Trump denota, ancora una volta, la sua più totale imprevedibilità in campo internazionale, poiché aveva concesso altri 15 giorni all’ayatollah per negoziare e smantellare i siti nucleari. Improvvisamente, nel pieno della notte tra sabato e domenica(ora Italiana) ha ordinato un brutale attacco contro tre siti nucleari iraniani, senza riportare vittime civili (solo nell’attacco ai tre siti nucleari, ma non nei raid che riportano invece vittime civili)
A farne le spese sono sempre i civili, intrappolati tra due megalomani: Khamenei e Netanyahu (ormai spalleggiati del tutto da Trump) . I palazzi residenziali di Tel Aviv e Teheran sono uniti dallo stesso destino. Risuonano le sirene, rimbombano le esplosioni. Un paese giovane come l’Iran è spaventato: molti 20enni e 30enni non avevano mai sentito una guerra da vicino, e un attacco così improvviso ha destabilizzato gli equilibri.
Molti chilometri più a ovest, in Italia, anche l’informazione bombarda l’opinione pubblica, seguendo in continuazione le evoluzioni del conflitto. Ci sono tesi contrastanti, ma sembra prevalere la dottrina unitaria sulla contrarietà all’uso militare dell’uranio da parte dell’Iran, cioé all’ipotesi che possa sviluppare del tutto una bomba atomica. Si preferiscono i negoziati, ma l’asse Bibi – Trump sembra preferire l’utilizzo della forza (testualmente, “prima la forza, poi la pace”), con conseguenze che potrebbero essere devastanti. Per ultima, la questione di Hormuz, che se chiuso rappresenterebbe un costo devastante su molti paesi, poiché il costo del petrolio potrebbe superare i 200 dollari al barile.
Lucida anche l’analisi di oggi sul quotidiano Il Tempo, a firma di Leonardo Tricarico:”Al danno finora potenziale si aggiungerebbe la beffa di un flop, di un bombardamento che non ha conseguito i risultati sperati e che ha avuto il solo effetto di percuotere un vespaio e di liberare vespe furiose.”