
Spritz ignavo sul viale del tramonto
Nel silenzio ovattato del mio venerdì pomeriggio, con il suono del mare che pare più una soundtrack Dolby Surround per distogliere l’attenzione dal disastro che avanza, leggo l’ennesima notizia: Israele ha attaccato l’Iran. Non un attacco qualunque, no. Preventivo, mirato a siti nucleari. Un trailer non autorizzato di una serie che si chiamerà “Terza Guerra Mondiale: l’ultima stagione”. Accadeva una volta che un annuncio simile suscitasse quantomeno un sopracciglio sollevato, uno spavento sincero, una stretta allo stomaco. Oggi, al massimo, un like distratto. Una reaction.
Scorro: in Ucraina si continua a morire come se nulla fosse. Il conflitto che avrebbe dovuto “cambiare l’ordine mondiale” si è trasformato in uno sfondo tappezzeria per i nostri feed. Le trincee, i droni, i civili sotto le bombe? Roba già vista. L’algoritmo ci propone video di gatti che cadono nei lavandini subito dopo.
Nel frattempo, in Italia, circa 13.000 minori scompaiono ogni anno, molti stranieri, tanti mai più ritrovati. Ogni tanto ne parlano in un trafiletto, a fondo pagina, tra una promozione di creme antirughe e l’oroscopo del giorno. È una statistica talmente grottesca da sembrare inventata, eppure è vera. Ma tranquilli: la maggior parte dei lettori ha imparato a scrollare anche le tragedie, come si fa con la pubblicità indesiderata.
E non è finita. Incendi in Canada, ondate di caldo estremo in India, la foresta amazzonica sotto attacco legale, le mafie sanitarie in Africa, la crisi dell’acqua in Messico, i femminicidi che in Italia diventano rubrica settimanale, la fame in Yemen che ormai non fa nemmeno più notizia. A Gaza, ogni giorno, il numero dei morti si aggiorna come il punteggio di una partita, senza cronisti appassionati. Tutto è già stato detto. Tutto è già stato visto. Siamo saturi.
Quella che Noam Chomsky chiamava “la fabbrica del consenso” ha funzionato così bene che non ha più nemmeno bisogno di produrre: oggi siamo noi stessi ad automanifatturarci l’assuefazione. La “strategia della distrazione”, una delle sue dieci regole mediatiche, è passata da essere tecnica sofisticata a default antropologico. Il popolo è intento a rincorrere l’ultima polemica tra influencer e la farfallina della Ferragni mentre il mondo brucia come un kebab lasciato nel microonde.
I più acculturati parlano delle guerre con tono grave e viso corrucciato, lo stesso che usano quando spiegano perché il tonno va scottato solo da un lato. Loro, i colti, si appoggiano su Barthes e Arendt per constatare che “viviamo in un’epoca complessa”, dimenticando che ogni epoca è sempre stata complessa, solo che ora la complessità è diventata pretesto per non agire.
Gli ignoranti, dal canto loro, tacciono. Ma non per decenza. Più che altro per noia. In fondo, se la fine del mondo non si può ballare su TikTok, non vale la pena farla.
I complottisti, invece, brillano. È il loro Super Bowl. Che sia una finta guerra per mascherare il traffico di bambini per i rettiliani, o l’ennesima invenzione della NATO per vendere più antenne 5G, poco importa. Complottano con la stessa energia con cui una volta si cucinava la pasta la domenica. Devoti. Inossidabili.
E io?
Io mi siedo in riva al mare, ordino uno spritz e aspetto. Aspetto i fuochi d’artificio veri, quelli nucleari. Non mi preoccupo, tanto il sole lo si guardava già con gli occhiali. E poi, tra una nuvola tossica e l’altra, magari vedremo anche un’aurora boreale lombarda.
E sarà virale.
Ricetta dello spritz per affrontare serenamente l’Apocalisse:
- 3 parti di Prosecco (possibilmente veneto, ché se finiamo il mondo, almeno beviamolo bene)
- 2 parti di Aperol (o Campari, se vi piace l’amaro… come la verità)
- 1 parte di soda (che rappresenta l’illusione della leggerezza)
- Ghiaccio quanto basta, come le notizie inutili nel feed.
- Una fetta d’arancia, a ricordarci che una volta c’erano le stagioni.
Servire in calice ampio.
Bere con ironia.
Osservare l’orizzonte.
E se vedete un fungo atomico… fate finta sia solo un nuovo effetto speciale di Netflix.
Egidio Francesco Cipriano