Piú giovane di un topo giovane

La giovinezza semi eterna che viene dai laboratori
Nel laboratorio silenzioso del professor David Sinclair, tra pipette sterili e vecchie foto di Watson e Crick, c’è un topo che sorride. O almeno così pare. Ha 124 settimane, che per un roditore significa essere più che un nonno: è un trisavolo con l’artrite. Ma qualcosa in lui è cambiato. Corre più veloce, i suoi muscoli rispondono, il suo pelo brilla. Si direbbe che sia ringiovanito. E non è solo apparenza: il suo corpo è più giovane. Letteralmente. Molecolarmente. Epigeneticamente.
A raccontarlo non è un romanzo di fantascienza, ma una sfilza di articoli scientifici, l’ultimo dei quali è comparso tra febbraio e marzo 2025. Gli scienziati hanno somministrato a questi topi un cocktail genetico noto come OSK (Oct4, Sox2, Klf4), con un sistema a interruttore on/off controllato da doxiciclina. Risultato? Vita residua quasi raddoppiata (109%), miglioramento dell’attività muscolare, recupero epigenetico dei tessuti, meno fragilità. Insomma: è come se avessero premuto “aggiorna software” su una creatura vivente. Il topo ringiovanisce. E corre. E sorride.
A guardarlo da fuori, sembra Lo strano caso di Benjamin Button, il film con Brad Pitt dove la vecchiaia si consuma al contrario. Ma qui non si tratta di una fantasia hollywoodiana. Siamo nel pieno di un passaggio epocale in cui la biologia non cerca più solo di curare, ma di riavvolgere il tempo.
E come ogni rivoluzione, anche questa ha i suoi profeti e i suoi paradossi.
Nel frattempo, in parallelo alla genetica, prende piede una nuova via: quella chimica. Sei piccole molecole, selezionate con sofisticati screening, sono in grado di riportare cellule umane coltivate in laboratorio a uno stato biologicamente più giovane, senza cambiarne l’identità. Tutto in meno di una settimana. Niente virus, niente manipolazioni invasive. Solo chimica.
Più farmacia, meno fantascienza.
E allora la domanda inizia a pungere sotto pelle: se possiamo davvero tornare giovani, lo vogliamo? E soprattutto: chi potrà permetterselo?
Perché finché queste terapie restano sperimentali, il sogno è condiviso. Ma quando arriveranno sul mercato? A chi saranno destinate? Una vecchiaia differenziale, distribuita in base al reddito, all’accesso a certe cliniche, a un passaporto genetico. Una nuova frontiera di diseguaglianza: non solo tra chi ha e chi non ha, ma tra chi invecchia e chi no.
E poi: cosa succede all’identità quando la biografia perde i suoi confini? Se la morte diventa opzionale, anche la vita perde un po’ della sua urgenza? Cosa sarà dell’amore, se possiamo rimanere giovani per sempre? Invecchiare insieme non è forse la più struggente delle promesse?
Non è solo questione di scienza, ma di senso.
Per ora, il primo trial umano della terapia OSK è previsto per la NAION, una neuropatia ottica ischemica. Non è ancora la pillola dell’immortalità, è un primo passo prudente. Ma è reale. Non è più topi e sogni, ma pazienti e occhi umani.
Certo, ci sono ancora nodi da sciogliere: sicurezza a lungo termine, rischio di tumori, effetti collaterali ignoti. Ma se già possiamo ridare la vista, perché non provare anche a ridare il tempo?
Intanto, nei laboratori, i topi continuano a correre. Alcuni più veloci oggi di quanto non fossero ieri. E il loro sorriso, se mai esistesse, sarebbe quello di chi ha intuito che forse la vecchiaia è solo un bug temporaneo.
Con buona pace di Benjamin Button e di Brad Pitt, che forse un giorno, a 80 anni, interpreterà un uomo di 30. E non servirà neppure il trucco. Basterà un piccolo interruttore, una molecola giusta, un backup epigenetico. O una firma sul consenso informato.
Egidio Francesco Cipriano
Immagine generata AI