
Un viaggio nell’integrazione di corpo, psiche e coscienza attraverso la sintesi di tradizioni antiche e approcci contemporanei
C’è un punto, nella terapia, in cui le parole si arrendono da sole. Non per mancanza di concetti, ma per eccesso di verità. Un punto in cui l’aria si fa densa, ma non pesante, e tutto sembra rallentare, come se lo spazio interiore stesse trattenendo il fiato. In quel silenzio abitato, il corpo comincia a raccontare ciò che la mente ancora teme di dire. Lì, tra una pulsazione e un fremito, la Psicosintesi si fa concreta. Non teoria. Non astrazione. Ma presenza che emerge tra le mani, nella pelle, negli occhi che si socchiudono.
È in questo spazio liminale che convergono millenni di saggezza: dalla visione transpersonale di Assagioli alle antiche tradizioni contemplative del Tibet, dal tocco sottile della terapia craniosacrale alla rivelazione sistemica delle costellazioni familiari. Non come eclettismo, ma come riconoscimento di un’unica verità che si manifesta attraverso linguaggi diversi: l’essere umano è molto più vasto di ciò che appare, e la guarigione è sempre un atto di riconnessione con questa vastità.
La molteplicità dentro di noi: subpersonalità come semi di coscienza
Roberto Assagioli, psichiatra italiano, raffinato pensatore e visionario dell’anima, comprese con anticipo ciò che la psicologia del XXI secolo sta solo ora iniziando a riconoscere pienamente: che l’essere umano è plurale, stratificato, capace di cadere e di rinascere da se stesso. In lui convivono molte voci, a volte in armonia, più spesso in conflitto. La Psicosintesi non tenta di cancellare queste voci, né di uniformarle. Le ascolta. Le accoglie. Le integra.
Nel mio lavoro clinico, ho incontrato subpersonalità travestite da sintomi: una mandibola serrata che trattiene un urlo antico, una scoliosi lieve che racconta un’infanzia vissuta in punta di piedi, una voce tremante che custodisce un amore mai detto. Non sono metafore, sono storie somatizzate. Le subpersonalità sono entità vive, parti psichiche che hanno imparato a funzionare per proteggerci. Ma il prezzo che chiedono è spesso la nostra libertà.
Ma qui la visione si amplia. Nella tradizione Vajrayana, queste stesse “parti” vengono riconosciute come manifestazioni di energie primordiali – i cinque Buddha, le cinque saggezze – che nella loro forma distorta diventano i cinque veleni emotivi. La rabbia della subpersonalità del “guerriero ferito” porta in sé il seme della saggezza specchiante. L’attaccamento della “bambina abbandonata” custodisce il potenziale della saggezza discriminante. Non si tratta di eliminare, ma di trasformare il piombo in oro, come insegnavano gli alchimisti medievali.
La Psicosintesi offre una via di riconciliazione che si rivela sorprendentemente affine alla pratica tantrica: non è una battaglia tra l’Io e l’Ombra, ma un invito al dialogo tra frammenti. E in questo dialogo si rivela la forza più trascurata dalla psicologia classica: la volontà.
Volontà: non sforzo, ma orientamento del cuore
Assagioli distingue vari tipi di volontà: forte, dinamica, saggia e transpersonale. Ma al di là delle categorie, ci chiede di riscoprirla come forza interiore gentile, capace di dire “sì” e “no” non per dovere, ma per amore.
Nel contesto clinico, la volontà non è il pungolo che spinge al cambiamento, ma la bussola che orienta, che rende possibile l’integrazione tra le parti. Quando un paziente smette di combattere contro la sua ansia e comincia a guardarla come una bambina che ha paura, qualcosa accade. Non si tratta più di “curare un disturbo” ma di scegliere chi diventare. La volontà è lì: silenziosa, ma presente.
Questa comprensione della volontà trova un’eco profonda nella tradizione Dzogchen, dove si parla di rigpa – la consapevolezza primordiale che non agisce ma riconosce. Nel momento in cui la coscienza testimone osserva senza identificarsi, emerge naturalmente una volontà transpersonale che non appartiene all’ego ma al Sé. È la volontà del Bodhisattva che si manifesta spontaneamente quando le barriere del sé separato si dissolvono.
Nel craniosacrale, questa volontà si manifesta come Respiro della Vita, quel principio intelligente che anima ogni cellula e sa esattamente dove andare per ripristinare l’equilibrio. Il terapeuta non guida questa forza, ne diventa servitore consapevole.
Il campo sistemico: quando l’anima familiare si svela
Anni di lavoro con le costellazioni familiari mi hanno insegnato che le subpersonalità raramente sono “nostre” nel senso individuale. Spesso sono ereditarietà psichiche, memorie transgenerazionali che si manifestano attraverso di noi per essere finalmente viste, riconosciute, integrate.
Ho visto una donna che portava nel corpo la rabbia del bisnonno mai tornato dalla guerra. Il suo mal di schiena cronico si sciolse nel momento in cui, in costellazione, riconobbe quel dolore come non suo e lo restituì con amore al sistema familiare. La subpersonalità della “portarice di dolore” poté finalmente riposare.
Bert Hellinger parlava degli “ordini dell’amore” – quelle leggi invisibili che regolano i sistemi umani. Quando questi ordini vengono violati – per esempio quando un figlio porta il peso emotivo di un genitore – il sistema si ammala. Ma quando l’ordine viene ristabilito, emerge quello che Hellinger chiamava “movimento dell’anima“: una forza guaritrice che fluisce naturalmente, senza sforzo.
Questa visione sistemica arricchisce profondamente la Psicosintesi. Le subpersonalità non sono solo frammenti individuali, ma spesso rappresentanti di membri del sistema familiare che chiedono riconoscimento. Il lavoro terapeutico diventa così un atto di servizio non solo alla persona, ma all’intera costellazione di anime di cui fa parte.
La spalla della bambina severa e l’antenata dimenticata
In una seduta craniosacrale, una donna di cinquant’anni si stende sul lettino. Il suo corpo è perfetto, scolpito dalla disciplina, dalla palestra, dal controllo. Ma le sue spalle… le sue spalle sono due pietre. Quando porto le mani sotto il cranio, sento un gelo sottile. Non è fisico. È psichico. Le ossa parlano. “Mia madre mi fissava quando sbagliavo. Non diceva nulla, ma io capivo che avevo deluso.”
Lavoriamo con quella parte. La bambina impeccabile, mai un errore, mai un capriccio. Le do un compito: scrivere con la mano sinistra, disegnare il volto di quella madre silenziosa. Poi parliamo con quella bambina. Scopriamo che ama danzare, ma si vergogna. Che ha una parte ribelle, ma l’ha sotterrata sotto l’autocontrollo.
Ma c’è di più. Durante una sessione di costellazione familiare, emerge che sua madre aveva ereditato questo schema dalla propria nonna – una donna che aveva perso tre figli nell’epidemia di spagnola del 1918 e aveva sviluppato un controllo maniacale per “proteggere” i figli rimasti. La rigidità era amore terrorizzato che si trasmetteva di generazione in generazione.
Nel momento in cui questa verità emerge nel campo, qualcosa si muove. Non è più la bambina che deve cambiare, ma l’intero sistema che può finalmente riconoscere il proprio dolore. In una seduta craniosacrale successiva, durante un contatto sottile tra l’osso sacro e l’occipite, piange. Ma non è dolore. È sollievo. La volontà saggia ha preso il timone. La spalla si ammorbidisce. E con essa, l’intera linea matrilineare trova pace.
Psicosintesi e craniosacrale: la sinergia del sentire e il Respiro della Vita
Quando tocco un corpo, non tocco solo muscoli. Tocco storie, simboli, immagini interiori. La terapia craniosacrale mi ha insegnato a stare nell’ascolto profondo, dove la pulsazione del liquido cerebrospinale si fonde con il ritmo della psiche. Ogni contatto è una soglia. E ogni soglia, un possibile incontro con il Sé.
Il Dr. Sutherland, capostipite della terapia craniosacrale, parlava del “Breath of Life” – un principio intelligente che permea ogni cellula e mantiene l’equilibrio dell’organismo. Questo Soffio della Vita si manifesta attraverso tre livelli: la Respirazione Primaria (il ritmo craniosacrale), la Long Tide (maree più lente e profonde) e la Dynamic Stillness (il silenzio dinamico da cui tutto emerge).
In questo modello riconosco perfettamente i livelli di coscienza della Psicosintesi: l’inconscio inferiore (Respirazione Primaria – le memorie somatiche), l’inconscio medio (Long Tide – i processi di integrazione), e l’inconscio superiore (Dynamic Stillness – la dimensione transpersonale).
Ma è nel dialogo con la tradizione contemplativa che questa comprensione si approfondisce. La Dynamic Stillness del craniosacrale è sorprendentemente simile al rig-pa del Dzogchen – quella consapevolezza primordiale, vuota eppure luminosa, da cui emergono tutti i fenomeni. Nel tocco craniosacrale, quando terapeuta e paziente entrano in questa qualità di presenza, si apre uno spazio in cui la guarigione non è qualcosa che “facciamo” ma qualcosa che accade attraverso di noi.
Assagioli parlava di “inconscio superiore”, di esperienze transpersonali non come eccezioni patologiche, ma come fasi naturali della crescita. Lo stesso campo che, nel craniosacrale, si attiva nei momenti di “still point” — quello spazio sospeso tra due respiri, due battiti, due pensieri, il Bardo dell’esitenza. Lì la volontà non agisce. Presenzia. Il terapeuta non guida. Accompagna.
Il Dharma in terapia: quando la psicologia incontra la saggezza primordiale
La pratica del Dzogchen mi ha insegnato che la mente, nella sua essenza, è già perfetta, già libera, già guarita. I problemi non nascono dalla mente stessa, ma dalla non-riconoscimento della sua natura. Quando questa comprensione entra nella stanza terapeutica, tutto cambia.
Non cerco più di aggiustare il paziente, ma di risvegliare in lui il riconoscimento di ciò che è già intero. Le subpersonalità diventano allora manifestazioni temporanee nella vastità della consapevolezza, come nuvole che attraversano il cielo senza macchiarlo.
Un giovane uomo viene da me con attacchi di panico. Nella visione tradizionale, dovremmo “curare” l’ansia. Ma se ci spostiamo nella prospettiva Dzogchen, l’ansia stessa diventa un’opportunità per riconoscere la natura spaziosa della mente. Gli insegno a non combattere il panico, ma a riposare nella consapevolezza che osserva il panico. A poco a poco, sperimenta che lui non è l’ansia – è lo spazio in cui l’ansia appare e scompare.
Questo approccio non nega il livello psicologico – lo include in una comprensione più vasta. Le tecniche della Psicosintesi (il dialogo con le subpersonalità, la disidentificazione, la visualizzazione) diventano abili mezzi per aprire al riconoscimento della natura della mente.
Nel Vajrayana, ogni emozione disturbante viene vista come l’energia di una saggezza primordiale che ha dimenticato se stessa. La rabbia è energia specchiante cristallizzata, l’attaccamento è energia discriminante contratta, l’ignoranza è energia dello spazio infinito offuscata. Il lavoro terapeutico diventa un processo di trasmutazione energetica – non eliminazione, ma trasformazione.
Il mandala della guarigione: integrare i cinque elementi
Nella medicina tradizionale tibetana e nella psicologia Vajrayana, l’essere umano è visto come un mandala di cinque energie fondamentali: spazio, aria, fuoco, acqua, terra. Ogni elemento, quando in equilibrio, manifesta una qualità di saggezza; quando squilibrato, genera sofferenza.
Questo modello si rivela incredibilmente utile nella pratica clinica integrata:
L’elemento spazio corrisponde alla capacità di contenimento, alla spaciousness della consapevolezza. Nel craniosacrale, è la qualità del campo neutrale che permette l’emergere della guarigione. Nella Psicosintesi, è il Sé transpersonale che abbraccia tutte le subpersonalità. Nelle costellazioni, è lo spazio che tiene l’intero sistema familiare.
L’elemento aria si manifesta come movimento, cambiamento, respirazione. È il Breath of Life del craniosacrale, la volontà dinamica della Psicosintesi, i movimenti dell’anima nelle costellazioni. Quando bloccato, genera ansia, claustrofobia, incapacità di lasciare andare.
L’elemento fuoco è trasformazione, passione, discriminazione. È la forza che permette alle subpersonalità di evolversi, che attiva la guarigione nei tessuti, che brucia i pattern familiari obsoleti. Squilibrato, diventa rabbia distruttiva o depressione.
L’elemento acqua rappresenta fluidità, adattabilità, connessione emotiva. È il liquido cerebrospinale che nutre il sistema nervoso, la capacità di entrare in risonanza empatica, l’amore che unisce il sistema familiare. In eccesso, genera attaccamento; in difetto, freddezza emotiva.
L’elemento terra è stabilità, embodiment, presenza radicata. È la capacità di stare nel corpo durante il processo terapeutico, di rimanere centrati nell’osservazione delle proprie parti, di trovare il proprio posto nel sistema familiare.
Il guerriero spezzato e la medicina degli antenati
Marco, quarantacinque anni, manager di successo, viene da me per quello che definisce “un vuoto esistenziale che mi sta uccidendo”. Esteriormente tutto funziona: carriera, famiglia, riconoscimenti. Ma dentro sente una frattura che non riesce a sanare.
Nel lavoro con le subpersonalità emergono rapidamente due parti dominanti: il Guerriero Perfetto (quello che ha costruito il successo) e la Parte Spirituale Repressa (quella che anela a significato oltre il materiale). Tra le due, una guerra silenziosa che lo sta logorando.
Durante una seduta craniosacrale, mentre le mie mani riposano sulla sua nuca, sento emergere qualcosa di antico. Il suo sistema nervoso porta un’attivazione che non appartiene alla sua storia personale. È troppo arcaica, troppo collettiva. Quando glielo rifletto, gli occhi si riempiono di lacrime che non sa spiegare.
Decidiamo di esplorare in costellazione familiare. Quello che emerge supera ogni aspettativa: suo bisnonno era un ufficiale della Prima Guerra Mondiale, decorato per il valore, ma tornato a casa completamente spezzato da quello che oggi chiameremmo disturbo post-traumatico da stress. Non aveva mai parlato della guerra, ma aveva trasmesso ai figli un messaggio implicito: “Solo i guerrieri sopravvivono, ma i guerrieri non possono permettersi di sentire.”
Nella costellazione, quando Marco guarda il rappresentante del bisnonno, qualcosa si muove nel campo. Il vecchio soldato può finalmente dire: “Ho ucciso per proteggere la famiglia, ma questo mi ha ucciso dentro. Non voglio che tu porti il mio peso.” E Marco può rispondere: “Ti vedo, ti onoro, ma la mia guerra è diversa. Posso essere forte e sensibile insieme.”
È un momento di trasmutazione alchemica. La subpersonalità del Guerriero Perfetto si trasforma nella Saggezza del Diamante – forte ma non rigida, protettiva ma non violenta. La Parte Spirituale Repressa diventa la Saggezza dello Spazio – vastità che abbraccia e integra tutto.
Nel follow-up craniosacrale, il suo corpo racconta una storia diversa. C’è ancora forza, ma è elastica. C’è ancora determinazione, ma è gentile. Ha integrato quello che nel Vajrayana viene chiamata la natura del vajra – indistruttibile come il diamante eppure capace di tagliare attraverso l’illusione, forte come il fulmine ma al servizio della compassione. Non più un guerriero che combatte nemici esterni, ma un praticante che trasforma l’ignoranza in saggezza.
Il still point come porta verso rigpa: quando la terapia diventa meditazione
Uno degli aspetti più affascinanti del lavoro integrato è scoprire come certi stati di coscienza siano universali, indipendentemente dal linguaggio che li descrive. Lo “still point” della terapia craniosacrale – quel momento di perfetta quiete in cui tutti i ritmi del corpo si fermano e si riorganizzano – è fenomenologicamente identico agli stati di samadhi della meditazione o al rigpa del Dzogchen.
In questi momenti, la distinzione tra terapeuta e paziente si dissolve temporaneamente. Non c’è più qualcuno che cura e qualcuno che viene curato, ma un campo unificato di consapevolezza in cui la guarigione accade spontaneamente. È quello che Assagioli chiamava coscienza transpersonale – una dimensione dell’essere che trascende l’identità personale senza negarla.
Una delle pratiche che integro regolarmente è quella che chiamo “tocco meditativo”. Mentre le mie mani riposano sui punti di contatto craniosacrale, guido il paziente in una forma semplice di vipassana: osservare le sensazioni che emergono nel corpo senza giudizio, riconoscere i pensieri che sorgono senza identificarvisi, riposare nella consapevolezza che osserva tutto questo senza essere toccata da nulla.
Spesso accade che in questi stati emergano spontaneamente insights profondi sulle proprie subpersonalità, memorie familiari che chiedono guarigione, o semplicemente una profonda pace che non dipende da nulla di esterno. Il paziente sperimenta direttamente che è già intero, che la guarigione non è qualcosa da raggiungere ma da ricordare.
L’alchimia delle emozioni: dal veleno alla saggezza
Uno degli aspetti più pratici e trasformativi dell’integrazione Vajrayana nella terapia è il lavoro con le emozioni. Nella visione tradizionale occidentale, le emozioni “negative” sono spesso viste come problemi da risolvere. Nel Buddhismo Vajrayana, sono materia prima per la trasformazione.
Ogni emozione disturbante contiene in sé il seme della saggezza corrispondente:
- La rabbia è energia specchiante cristallizzata – quando si scioglie, diventa la capacità di vedere chiaramente senza distorsioni
- L’orgoglio è energia equanime solidificata – quando si apre, diventa la saggezza che vede l’uguaglianza fondamentale di tutti gli esseri
- L’attaccamento è energia discriminante contratta – quando si rilascia, diventa la capacità di amare senza possedere
- L’invidia è energia efficace bloccata – quando fluisce, diventa la capacità di agire spontaneamente per il bene di tutti
- L’ignoranza è energia dello spazio dharmakaya offuscata – quando si chiarisce, diventa la vastità incondizionata della consapevolezza
Questo approccio rivoluziona il lavoro con le subpersonalità. Invece di cercare di “guarire” la parte arrabbiata, la invito a rivelare la saggezza che custodisce. Invece di eliminare l’ansia, esploro quale qualità di presenza sta cercando di emergere attraverso la contrazione.
L’ansia come porta verso la saggezza
Sofia, trentacinque anni, soffre di ansia generalizzata da quando ha memoria. Ha provato diversi approcci terapeutici con risultati parziali. Quando iniziamo a lavorare insieme, la prima cosa che faccio è cambiare la relazione con l’ansia.
Invece di vederla come un nemico da combattere, la invitiamo a rivelarsi come subpersonalità. Emergono immediatamente due parti: la Sentinella Ipervigilante (quella che scansiona costantemente l’ambiente per potenziali pericoli) e la Bambina Sensibile (quella che percepisce tutto con intensità estrema).
Nel dialogo psicosintesi, scopriamo che la Sentinella si è formata quando Sofia aveva sei anni e i genitori stavano divorziando in modo molto conflittuale. La sua funzione era protettiva: “Se riesco a prevedere quando arriva il pericolo, posso proteggere la famiglia.” La Bambina Sensibile, invece, porta il dono di una percezione sottile che potrebbe essere una risorsa, ma che nell’ambiente familiare caotico era diventata fonte di sopraffazione.
Lavorando con l’approccio Vajrayana, iniziamo a riconoscere l’energia di saggezza nascosta nell’ansia. La Sentinella Ipervigilante porta in sé il seme della saggezza specchiante – la capacità di vedere chiaramente la realtà senza proiezioni. La Bambina Sensibile custodisce la saggezza dello spazio – l’apertura che può contenere qualsiasi esperienza senza esserne travolta.
Durante una seduta craniosacrale, mentre le mie mani riposano sul suo cranio, guido Sofia in una pratica Dzogchen molto semplice: “Invece di cercare di fermare l’ansia, riposa nella consapevolezza che osserva l’ansia. Chi è che sa che c’è ansia?” Gradualmente, sperimenta uno spazio di pace che non dipende dall’assenza di ansia, ma che può accogliere l’ansia senza esserne disturbato.
Nel work-up delle costellazioni familiari, emerge che sua nonna materna era stata una rifugiata di guerra con un disturbo d’ansia mai trattato. L’ipervigilanza di Sofia portava in sé la memoria di sopravvivenza di tre generazioni di donne che avevano dovuto essere sempre allerta. Quando questo viene riconosciuto e onorato nel campo familiare, qualcosa si rilassa profondamente nel suo sistema nervoso.
Il lavoro non mira a eliminare l’ansia, ma a trasformare la relazione con essa. Sofia impara a riconoscere quando la Sentinella si attiva e a ringraziarla per la protezione, mentre sviluppa la capacità di riposare nella vastità della consapevolezza che può tenere qualsiasi esperienza. L’ansia non scompare completamente, ma diventa un alleato che la avverte quando c’è bisogno di prestare attenzione, senza più dominare la sua vita.
Clinica e anima: una nuova alleanza oltre il dualismo
Molti colleghi diffidano di questa apertura spirituale. Temono il misticismo. Ma spirituale, in questa accezione, non è religioso. È esperienziale. È riconoscere che esiste in ogni essere umano un centro non traumatizzato, una fonte viva, una coscienza testimone che osserva senza giudicare. Nella Psicosintesi, questo è il Sé transpersonale. Nel Dzogchen, è rigpa. Nel craniosacrale, è la Dynamic Stillness. Nelle costellazioni, è l’Anima che sa.
E la clinica? La clinica non è messa da parte, ma potenziata. Perché un paziente visto nella sua interezza — corpo, psiche, coscienza, sistema familiare, natura di Buddha — ha più strumenti per guarire. Non solo funzionare meglio, ma fiorire. Non solo adattarsi, ma scegliersi. Non solo guarire, ma risvegliarsi.
Questo approccio integrato non è sincretismo superficiale, ma riconoscimento di una verità fondamentale che le tradizioni autentiche hanno sempre saputo: l’essere umano è multidimensionale, e la vera guarigione tocca tutti i livelli simultaneamente.
Nel mio lavoro quotidiano, non separo più questi approcci. Una seduta può iniziare con un dialogo psicosintesi con le subpersonalità, continuare con un ascolto craniosacrale del sistema nervoso, aprirsi a una costellazione familiare quando emerge una dinamica transgenerazionale, e concludersi con un momento di presenza meditativa che permette l’integrazione. Tutto fluisce naturalmente, guidato dall’intelligenza del processo stesso.
Il terapeuta come bodhisattva: servire il risveglio nell’era della crisi
Viviamo in un’epoca di crisi profonda – ambientale, sociale, spirituale. Gli approcci terapeutici tradizionali, per quanto validi, spesso non riescono a toccare la radice della sofferenza contemporanea: la perdita di connessione con se stessi, con gli altri, con la natura, con il sacro.
Il terapeuta integrato del XXI secolo è chiamato a essere qualcosa di più di un tecnico della psiche. È chiamato a essere quello che il Buddhismo definisce un bodhisattva – un essere dedicato al risveglio di tutti gli esseri senzienti. Non in senso religioso, ma in senso profondamente umano: qualcuno che riconosce l’interconnessione fondamentale di tutto ciò che esiste e mette questa comprensione al servizio della guarigione.
Quando lavoro con un paziente, non sto lavorando solo con quella persona. Sto lavorando con l’intero campo di relazioni di cui fa parte: la famiglia, la comunità, le generazioni passate e future. Ogni guarigione individuale è un atto di servizio al collettivo. Ogni momento di risveglio personale è un contributo al risveglio planetario.
Questo non è idealismo new age, ma pragmatica spirituale. La ricerca scientifica sulla coerenza cardiaca, sulla sincronizzazione delle onde cerebrali, sull’epigenetica delle esperienze traumatiche conferma quello che le tradizioni contemplative hanno sempre saputo: siamo molto più interconnessi di quanto la mente razionale possa concepire.
Verso una psicologia dell’interdipendenza
Il futuro della terapia, come lo vedo, si muove verso quella che potremmo chiamare psicologia dell’interdipendenza – un approccio che riconosce che la sofferenza individuale è sempre radicata nella disconnessione, e che la guarigione è sempre un atto di riconnessione.
Questa visione integra:
- La Psicosintesi come mappa per navigare la complessità multidimensionale dell’essere umano
- Il craniosacrale come tecnologia gentile per ascoltare la saggezza del corpo
- Le costellazioni familiari come metodo per guarire i traumi sistemici e transgenerazionali
- Il Dzogchen come riconoscimento della natura già perfetta della mente
- Il Vajrayana come alchimia per trasformare ogni esperienza in saggezza
Ma soprattutto, integra la comprensione che non siamo entità separate che lottano per la sopravvivenza in un universo ostile, ma manifestazioni temporanee di un’unica coscienza che sta giocando il gioco cosmico dell’esistenza.
Quando questa comprensione si radica nell’esperienza – non come concetto mentale ma come verità vissuta – la terapia diventa naturalmente un atto d’amore. Non c’è più qualcuno che cura e qualcuno che viene curato, ma la coscienza che si riconosce attraverso l’apparente dualità e celebra il proprio ritorno a casa.
Egidio Francesco Cipriano
Immagine AI o quasi
Bibliografia essenziale per il viaggio integrato
Psicosintesi e Psicologia Transpersonale
- Assagioli, R. (1973). Lo sviluppo transpersonale. Roma: Edizioni Mediterranee.
- Assagioli, R. (1973). Il valore della volontà. Roma: Astrolabio.
- Firman, J. & Gila, A. (2002). Psicosintesi: Un modello di psicologia integrativa. Crisalide.
- Wilber, K. (2001). A Theory of Everything. Shambhala.
- Grof, S. (1985). Beyond the Brain. SUNY Press.
Terapia Craniosacrale e Medicina Somatica
- Sutherland, W.G. (1990). Teachings in the Science of Osteopathy. Rudra Press.
- Sills, F. (2001). Craniosacral Biodynamics, Vol. 1: The Breath of Life. North Atlantic Books.
- Jealous, J. (1997). Emergence of Originality. Article collection.
- Ogden, P., Minton, K., & Pain, C. (2006). Trauma and the Body: A Sensorimotor Approach to Psychotherapy. Norton.
- Levine, P. (1997). Waking the Tiger: Healing Trauma. North Atlantic Books.
Costellazioni Familiari e Terapie Sistemiche
- Hellinger, B. (1998). Love’s Hidden Symmetry. Zeig, Tucker & Co.