
Vital Nzaka, la manioca e la rinascita dell’ingegno africano
Nella notte umida di Boma, tra le casupole disegnate dalla lamiera e le ombre fitte degli alberi di mango, c’è un ragazzino che studia. Il quaderno è aperto, le sillabe si rincorrono in una lingua che sa di futuro. Sopra di lui, una piccola lampadina LED vibra silenziosa. Nessun rumore di generatore, nessuna corrente rubata alla rete. Solo il battito costante di una batteria costruita con radici, limone, sale e volontà.
Il ragazzo si chiama Aimé, ha tredici anni e non sa nulla di elettrochimica. Ma sa che quella luce è nuova. E che arriva da un uomo che porta un nome doppio: Vital Nzaka, anche detto Vital Vitium, un chimico congolese che ha scelto di non emigrare, di non vendere il proprio sapere alle multinazionali, ma di restare. E accendere, con ciò che cresce sotto i piedi, una speranza.
La manioca non è solo cibo
In gran parte dell’Africa subsahariana, la manioca non è un ortaggio: è identità, sopravvivenza, corpo stesso della terra. Si sbuccia, si bolle, si schiaccia. Le madri la pestano nei mortai di legno con la stessa attenzione con cui si carezza un figlio. Ma da oggi, grazie a Nzaka, la manioca è anche energia elettrica. Concepita come una biobatteria ricaricabile, l’invenzione di Nzaka utilizza un impasto di amido di manioca, succo di limone, sale e acqua come elettrolita — la sostanza che permette agli ioni di fluire tra i due poli di un circuito e generare corrente. L’idea non è nuova in senso assoluto — i limoni accesi nelle fiere scolastiche ne sono la parodia ingenua — ma la genialità di Nzaka sta nel metodo, nella modularità e nella visione sistemica. Il suo dispositivo produce fino a 21 volt di corrente continua, e con un semplice inverter, la trasforma in 220 volt alternata, pronta per alimentare case, scuole, infermerie.
La chimica del riscatto
A livello tecnico, la batteria funziona sfruttando il potenziale elettrochimico tra due elettrodi — generalmente rame e zinco, materiali facilmente reperibili — immersi in un mezzo conduttivo a base di carboidrati fermentabili (amido) e acido citrico. La manioca, ricca di amido, viene trasformata in una massa gelatinosa capace di trattenere liquidi e favorire il passaggio di ioni. Il limone agisce come acidificante, migliorando la conducibilità. Il sale completa la miscela elettrolitica. Il risultato è una cellula bioelettrica che, replicata in serie, può generare voltaggi comparabili a quelli delle batterie al piombo. Ma la vera innovazione sta nella lunga durata: fino a 12 ore di autonomia con un singolo modulo, ma anche fino a due settimane se più batterie vengono combinate con una buona gestione del carico. Nzaka ha progettato un sistema modulare, in cui ogni chilo di manioca può generare fino a 166 celle. Non serve litio, non serve cobalto — i due metalli che arricchiscono l’Occidente e dissanguano l’Africa. Serve solo ciò che già c’è, e ciò che non si compra: la mente libera.
Africa: non solo materie prime
La storia di Nzaka è una crepa nel paradigma coloniale della tecnologia. L’Africa è da sempre considerata un contenitore: di oro, di petrolio, di terre rare. Ma qui c’è un rovesciamento: la tecnologia non viene importata, ma creata. Non nasce dalla scarsità, ma dalla conoscenza delle risorse invisibili. La manioca, pianta resiliente, che cresce anche nei suoli poveri e si riproduce per talea, diventa simbolo di un continente che può autoalimentarsi. Nzaka non vende la sua invenzione ai migliori offerenti. Anzi, chiede che venga replicata, distribuita, migliorata, come una forma di tecnologia indigena, collettiva, solidale. È qui la lezione più grande: che l’autosufficienza non è isolamento, ma intelligenza condivisa, radicata nel territorio, ma aperta al mondo.
Vital, come la linfa
Vital Nzaka ha trentasette anni. È nato a Pointe-Noire, ma vive tra Congo, Camerun e sogni elettrici. Parla poco, lavora molto. I suoi video su YouTube mostrano mani sporche, occhi precisi, nessuna teatralità. Spiega come costruire le sue batterie con oggetti comuni: tazze di plastica, elettrodi riciclati, teli di lino. Non cerca la gloria. Ma mentre accende una lampadina in una capanna di fango, mostra a tutto il mondo che la povertà non è assenza di risorse, ma negazione di accesso. E che da un tubero può venire una scintilla più potente di qualsiasi promessa politica.
Radici elettriche — Come funziona la batteria di Vital Nzaka
Componente | Funzione |
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Amido di manioca | Massa gelatinosa che trattiene liquidi, base di fermentazione organica |
Succo di limone | Acidificante naturale che migliora la conducibilità |
Sale | Elettrolita che favorisce il flusso ionico |
Acqua | Veicolo per l’elettrolita |
Elettrodi (zinco/rame) | Producono il potenziale elettrico (differenza di tensione) |
Inverter | Converte la corrente continua in alternata a 220 V per uso domestico |
Moduli | Celle replicabili e combinabili in serie o in parallelo |
Durata stimata: 12 ore per cella singola, fino a 2 settimane in configurazioni ottimizzate
Produzione: fino a 166 celle da 1 kg di manioca
Utilizzi: luci a LED, radio, ventilatori, TV, ricarica cellulari
Impatto: riduzione della dipendenza da gasolio, costi bassissimi, accesso all’energia in aree rurali
Conclusione – L’energia della dignità
Forse è questa la vera innovazione: non solo generare elettricità, ma restituire luce alla dignità di intere comunità. Non più in attesa che qualcuno venga a “svilupparle”, ma consapevoli che da una radice, se ben nutrita, può nascere un’intera civiltà nuova.
Nzaka non è un eroe mediatico. È un seminatore. E la manioca che un tempo era solo fame, oggi è anche futuro.
Egidio Francesco Cipriano
Immagine AI