Non aveva nemmeno 26 anni quando una morte assurda lo strappò alla famiglia e alla città, che lo amava e che lo aveva eletto suo beniamino.
In tanti ricordano quella tragica notte in cui il giovane calciatore perse la vita, stroncando sul nascere una carriera che si preannunciava strepitosa. Lo ricordiamo quando prima di entrare in campo saltellava per riscaldare i muscoli, si strofinava le mani addosso per il freddo e scuoteva la testa piena di riccioli.
Non era alto, ma il suo pezzo forte era il colpo di testa, andava in elevazione ed era implacabile. Ad ogni suo gol avvicinava la sua squadra, la città alla serie A.
Quella sera dopo la partita, la squadra si ritrovò al ristorante la Masseria. Lui non voleva andarci, era nervoso. Quel giorno non aveva segnato, la partita fini in pari, ma per non deludere i compagni ci andò comunque. Al ritorno un bolide lo centro in pieno, a velocità sostenuta e si portò via la vita di Iaco (come tutti lo chiamavano) idolo di una città che lo aveva scelto come il suol “re”.
Ma il suo ricordo è vivo ancora, il suo ricordo resterà per sempre come la statua (di Francesco Trani), che troneggia all’ingresso della curva nord.
L’allora presidente del Taranto, Giovanni Fico cambio il nome dello stadio da “Salinella” a “Erasmo Iacovone” e a volte sembra di sentire ancora la curva che lo acclama, “Iaco… Iaco… Iacovone…”.
Gianfranco Maffucci