L’intellettuale pugliese è scomparso ieri mattina. La sua riflessione ci ha insegnato a guardare al Sud con occhi nuovi
All’alba di ieri, 23 febbraio 2021, nella sua Bari si è spento il sociologo Franco Cassano.
Non è facile sintetizzare in poche righe gli insegnamenti e gli spunti di riflessione che ci lascia quest’intellettuale originale e brillante. In noi meridionali, senza dubbio, ha contribuito ad instillare una nuova consapevolezza, spronandoci a guardare al futuro delle nostre regioni liberandoci dalle definizioni, per certi versi opprimenti, che del Mezzogiorno sono state date fin dall’epoca dei primi meridionalisti del XIX secolo.
In questo senso appare rivoluzionario, ancora oggi, “Il pensiero meridiano”, la sua opera più nota e discussa, pubblicata per la prima volta 25 anni fa (gennaio 1996). Il testo, che, per ammissione dello stesso autore, ha suscitato «una molteplicità di reazioni, dall’adesione incondizionata alla contrapposizione sospettosa, dalla richiesta di tradurne le categorie in indicazioni politiche concrete allo scetticismo ironico», in breve tempo è divenuto una pietra miliare del nuovo dibattito sulla questione meridionale.
La novità del Pensiero meridiano
Il Pensiero meridiano è un’inversione a 180 gradi rispetto alle tradizionali letture del Mezzogiorno e del divario Nord-Sud. Fino ad allora, quando si parlava di Mezzogiorno si parlava, quasi senza eccezioni, del divario socio-economico rispetto al Centro-Nord e poi, a partire dal celebre studio del politologo americano Banfield sul “familismo amorale” (1958), di quello culturale. Si discuteva sulle cause di questo ritardo, se fosse da attribuire a una presunta “rapina” da parte dell’“invasore piemontese” o, piuttosto, alla persistenza di strutture socio-economiche arcaiche dovute a un peculiare percorso storico (basti pensare che soltanto nel 1950, con la riforma agraria, si pone fine al latifondo nelle regioni meridionali), o, addirittura, a una supposta inferiorità antropologica (tesi in voga tra diversi studiosi di fine Ottocento). Pochi, però, mettevano in discussione il fatto che il divario esistesse, e che bisognasse trovare il modo per colmarlo.
Negli anni Novanta, quelli in cui viene pubblicato “Il pensiero meridiano”, l’idea del ritardo culturale del Mezzogiorno conosce un nuovo successo. Un altro politologo americano, nel 1993, pubblicava “La tradizione civica nelle regioni italiane”, con cui attribuiva il ritardo economico delle regioni meridionali, in ultima analisi, alla diffusa carenza di senso civico, che l’autore faceva risalire addirittura al Medioevo.
Nel dibattito politico emergeva prepotentemente la Lega Nord, che si faceva portavoce dei malesseri dell’economia e della società del Nord. La convinzione di fondo era che quei malesseri fossero da attribuire al “parassitismo” del Mezzogiorno, perpetuato con il benestare di uno Stato centrale corrotto, radicato nel retroterra culturale dei meridionali. Proprio in quel 1996, il partito di Umberto Bossi “proclamava” l’indipendenza della Padania.
Il Sud, secondo molte correnti di pensiero diffuse in quegli anni, non voleva (o forse, in fondo, non poteva) essere come il Nord, non voleva acquisirne la “mentalità” che l’avrebbe condotto sulla via della modernità. Già presente da tempo nell’immaginario collettivo di larghi strati della popolazione italiana (non solo settentrionale), la figura oleografica del meridionale – contrapposta a quella del settentrionale laborioso e civile – si faceva strada anche nel dibattito accademico e in quello politico. Caratteri tipici e anti-moderni della “cultura meridionale” erano lo scarso senso civico, il particolarismo (nel senso di prevalenza degli interessi personali e famigliari su quelli collettivi), l’astuzia malvagia, l’indolenza, la scarsa propensione al lavoro, la lentezza.
Alla lentezza, carattere anti-moderno per antonomasia, è dedicato il poetico incipit del primo capitolo del Pensiero meridiano, che irrompe in quest’atmosfera culturale:
Bisogna essere lenti come un vecchio treno di campagna e di contadine vestite di nero, come chi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo, perché andare a piedi è sfogliare il libro e invece correre è guardarne soltanto la copertina. Bisogna essere lenti, amare le soste per guardare il cammino fatto, sentire la stanchezza conquistare come una malinconia le membra, invidiare l’anarchia dolce di chi inventa di momento in momento la strada.
[…]
Andare lenti è fermarsi su un lungomare, su una spiaggia, su una scogliera inquinata, su una collina bruciata dall’estate, andare col vento di una barca e zigzagare per andar dritti. Andare lenti è conoscere le mille differenze della propria forma di vita, i nomi degli amici, i colori e le piogge, i giochi e le veglie, le confidenze e le maldicenze.
Appare evidente il rovesciamento, forse anche un po’ provocatorio, rispetto al paradigma dominante. Non c’è da vergognarsi di questa caratteristica che altri etichetterebbero come “ostacolo culturale allo sviluppo”. La lentezza non è un tratto da reprimere, anzi, bisogna essere lenti.
Una nuova idea di sviluppo
La lentezza, però, è solo il punto di partenza. Ci sono altre caratteristiche – non necessariamente definite per differenza rispetto a quelle “settentrionali” – che fanno del Sud quello che è. Soprattutto, tutte queste caratteristiche non sono, per Cassano, degli impedimenti allo sviluppo del Mezzogiorno. O meglio, alcune potrebbero esserlo se ci si fossilizza nell’idea di sviluppo, per così dire, mainstream, quella, per intenderci, che vede nel PIL la misura di tutte le cose. Ma l’idea di sviluppo che ha in mente Cassano non è quella classica, quella che gli economisti dello sviluppo chiamerebbero della “modernizzazione”. La “modernità” non deve essere perseguita a tutti i costi, anzi, “modernizzare stanca”.
Il Sud – non solo il Mezzogiorno italiano, ma anche gli altri Sud del mondo, a cui Cassano estenderà il concetto negli scritti successivi – deve individuare un suo “percorso autonomo” di sviluppo, partendo dalle sue peculiarità, che non necessariamente coincide con il percorso intrapreso in passato dalle regioni più avanzate.
Il Sud come “soggetto di pensiero”
Il Sud non è un “Nord imperfetto”, ma è una realtà storica e culturale diversa rispetto al Nord. Non deve acquisire caratteristiche più “settentrionali”, ma deve valorizzare ciò che è, per poter sperimentare nuovi percorsi di sviluppo. Non deve «misurarsi secondo i valori di altrove, sapendo che non riuscirà mai a possederli» (il riferimento è a un altro grande sociologo italiano scomparso di recente, Alessandro Pizzorno), ma deve tornare ad essere “soggetto di pensiero”. Che significa?
Il Sud – scrive Cassano – non deve essere studiato, analizzato e giudicato da un pensiero esterno, ma deve riacquistare la forza per pensarsi da sé, per riconquistare con decisione la propria autonomia. Pensiero meridiano vuol dire fondamentalmente questo: restituire al sud l’antica dignità di soggetto di pensiero, interrompere una lunga sequenza in cui esso è stato pensato da altri.
Non è un caso che i tentativi di modernizzazione del Mezzogiorno non siano pienamente riusciti, che l’industrializzazione si sia ridotta in “cattedrali nel deserto” spesso incapaci di suscitare un vero indotto: non si può avere vero sviluppo senza il rispetto delle realtà socio-culturali ed economiche interessate.
È forse anche grazie a Cassano, dunque, che oggi siamo un po’ più orgogliosi di essere ciò che siamo – meridionali, pugliesi, tarantini, salentini, ecc. Oggi ci sembra acquisita l’idea che le nostre specificità culturali ed economiche (o almeno alcune), per troppo tempo considerate impedimenti allo sviluppo, non sono “inferiori” a quelle di altre realtà (ma, attenzione, nemmeno “superiori”, come vorrebbe qualcuno). Al contrario, è proprio in quelle specificità possiamo ritrovare i semi del nostro futuro. Sta a ciascuno di noi, a ciascuna delle nostre comunità, recepire l’insegnamento di Cassano e attualizzarlo nei nostri contesti di vita sociale, per guardarci in maniera diversa, amandoci un po’ di più e individuando nuovi e originali “percorsi autonomi”.
Giuseppe Pesare