Sbagliato dire “Procida ha battuto Taranto”
Editoriale di Francesco Ruggieri
Ancona, Bari, Cerveteri, L’Aquila, Pieve di Solito e le Terre Alte della Marca Trevigiana, Procida, Taranto e la Grecìa Salentina, Trapani, Verbania e Volterra. Sono le dieci città che ambivano al titolo di Capitale Italiana della Cultura 2022. E’ stata scelta Procida. Leggere quindi: “Procida batte Taranto“, è fuori dalla realtà. Il confronto era tra dieci località e alla fine una sola poteva arrivare prima.
Dunque Procida sarà Capitale Italiana della Cultura 2020 e le altre 9 finaliste, sono tutte sullo stesso piano; non c’è chi ha perso e chi no.
Detto questo veniamo ad un’altra questione: “potevamo vincere ma…hanno perso“. E’ una consuetudine consolidata quella di condividere le vittorie e scaricare invece le responsabilità. Se Taranto fosse stata scelta tutti avremmo sicuramente festeggiato la vittoria; ora invece si prova a prendere le distanze e a cercare il “colpevole”.
Ma non c’è colpa alcuna; è stata presentato un progetto, al pari delle altre 9 città, e la giuria ha fatto un’altra scelta. Come in ogni concorso. Si è polemizzato sul video; a vedere quello presentato da Procida, oggettivamente, c’è molto da riflettere. Davvero di difficile comprensione. Ma evidentemente sono altri gli elementi che hanno determinato il giudizio.
Anche la presenza nel video, per qualche secondo, dell’Ilva, non può considerarsi un errore. Anzi. Taranto è anche Ilva; la storia della nostra provincia dagli anni 60 è segnata da questa presenza, oggi sicuramente ingombrante, ma che nel tempo ha fortemente caratterizzato, e condizionato, nel bene e nel male, il territorio. Quando all’epoca del raddoppio gli occupati diretti e indiretti erano circa 50 mila, nessuno ha opposto resistenza alla sproporzionata espansione dello stabilimento. L’acciaieria ha portato lavoro e ricchezza per qualcuno. Ha trasformato radicalmente il tessuto economico e sociale. Oggi sono cambiate le prospettive.
Chi scrive è tra quelli che vorrebbero chiuderla puntando ad una radicale riconversione economica. Chi scrive in quello stabilimento ci ha vissuto 21 anni andando via per scelta. Chi scrive ha fondato e diretto per un decennio un’associazione di ammalati oncologici. Ma questo non vuol dire mettere la testa sotto la sabbia o cancellare la storia. L’Ilva, vuoi o non vuoi, è Taranto.
Ben altre sono le riflessioni da fare. Taranto è stata sicuramente capitale della cultura nel passato. Viene indicata come Capitale della Magna Grecia, con tutte le immancabili polemiche al seguito (c’è chi nega questa circostanza). Ma anche in epoca moderna si è ben difesa e fino agli anni novanta almeno brillava per iniziative culturali e per condizioni di vita.
Sarà stato proprio il passaggio dallo Stato al privato dell’acciaieria, la crisi economica, quella demografica, una classe dirigente non all’altezza; mettiamoci anche il dissesto. Sta di fatto che il declino culturale è chiaramente rilevabile; innanzitutto nei comportamenti dei cittadini. In un’assenza di rispetto per la cosa pubblica. Gli esempi sono tanti.
Oggi si tratta di proseguire un percorso che in ogni caso è stato avviato; provare a recuperare innanzitutto la identità perduta. E soprattutto fare squadra, uno dei maggiori limiti della nostra Comunità. Se davvero si vuole andare oltre la monocultura industriale, che in ogni caso difficilmente potrà assicurare sviluppo nella quantità e soprattutto qualità richiesta, occorre reinventarsi come Comunità.
Abbiamo la storia dalla nostra parte, abbiamo il MarTa, abbiamo il Castello aragonese, le isole Cheradi, gli ipogei, la città vecchia, un’ università che ha grandi potenzialità, il mare, la cozza tarantina, e tutto quanto proviene dalla provincia in termini turistici, culturali, enogastronomici. Eventi in programma e la prospettiva di importanti investimenti. Dobbiamo solo convincerci di due semplice cose: 1)separare la questione ambientale/Ilva ( che va comunque affrontata) dal resto, chiudendo la fase del “finché c’è l’Ilva non c’è speranza” 2)deciderci ad essere comunità. Magari ispirandosi a qualche principio della “comunità” teorizza da Adriano Olivetti.
Poi viene la contrapposizione politica e il gioco delle parti. Ma è un’altra storia.
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