Era l’anno in cui il presidente della Repubblica Giovanni Leone si dimise a causa dello scandalo Lockheed. Dimissioni che in estate portarono al Colle Sandro Pertini. Ma era lo stesso anno in cui l’Italia era governata da Giulio Andreotti e Aldo Moro era stato assassinato. Era il 1978.
Ma era il 1978, per la precisione il 16 ottobre, anche quando dopo due giorni di conclave e otto scrutini, nel tardo pomeriggio, alle 18:18, arrivò dalla cappella Sistina la tanto attesa fumata bianca. Fumata bianca che annunciava al mondo intero (ancora scosso dalla morte improvvisa, dopo 33 giorni di pontificato, di Giovanni Paolo I), il 264° Papa della chiesa cattolica. Karol Wojtyla.
Pochi minuti dopo, in quel pomeriggio di autunno, alle 18:45, Wojtyla, dopo essere stato annunciato dal cardinale Pericle Felici, si affaccia dalla loggia della Benedizione della basilica di San Pietro formulando con un discorso improvvisato, in un italiano dalla sintattica molto fragile, ma che non gli impedisce di essere comunque chiaro nel contenuto.
Un discorso che rompeva la tradizione. Quella tradizione che imponeva ai pontefici appena eletti il classico cerimoniale pontificio con la sola benedizione senza pronunciare parola alcuna. Qualcosa stava per cambiare, dunque, e quel pomeriggio di ottobre fu solo l’inizio di una storia che sarebbe diventata indelebile.
E’ indubbio che Giovanni Paolo II, questo il nome scelto da Wojtyla, grazie alla sua semplicità e dolcezza, entrò subito in una melodiosa sintonia con la gente, riuscendo a conquistare giovani e non giovani, cristiani e non cristiani, credenti e soprattutto i non credenti.
La sua capacità nel rompere gli schemi e le consuetudini consolidate da centinaia di anni erano disarmanti.
Ha senza dubbio caratterizzato il suo pontificato. La sua opera di evangelizzazione nel mondo non è eguali, si è battuto per la pace nel mondo, aprendo sentieri con le altre religioni che sino ad allora erano impensabili. Già nel dicembre 1978, in occasione del trentesimo anniversario dalla firma della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, chiese a tutti gli stati il rispetto il rispetto della libertà religiosa per tutti i cittadini.
Fu lui ad accompagnare il mondo verso una nuova epoca, mostrando chiaramente, sin dall’inizio del suo pontificato, opposizione al regime comunista. E a questo proposito significativi e decisivi i suoi tre viaggi nella sua terra, la Polonia. Viaggi durante i quali riuscì a scuotere significativamente le coscienze dei suoi connazionali. Tanto da arrivare a mettere in ginocchio il regime polacco del generale Wojciech Jaruzelski alle elezioni del 4 luglio 1989. Evento questo che poi portò gradualmente alla caduta di tutti i regimi sparsi nell’est europeo, passando per la caduta del Muro di Berlino nel novembre del 1989.
Risultati questi ottenuti dall’idea ampia e unitaria che Wojtyla aveva dell’Europa e dal principio che uomo e la libertà sono un binomio imprescindibile. Ma soprattutto riuscì a portare avanti tutti questi processi di rinnovamento tramite il dialogo e riuscendo ad evitare inaudite forme di violenze. Proprio quelle violenze che, qualche anno prima della liberazione della Polonia, avevano dominato la scena sia in Ungheria che in Cecoslovacchia.
Infatti, Wojtyla, in questi eventi storici, ebbe indubbiamente la capacità di orientare sapientemente i popoli verso la strada del perdono, della riconciliazione e della ricostruzione materiale e, soprattutto, morale.
Papa Giovanni Paolo II fu antesignano anche sulla spinosa questione dell’Ilva di Taranto.
“Questo impianto, in cui ci troviamo, e le officine, nelle quali voi lavorate e trascorrete buona parte delle vostre giornate, sono un segno eloquente delle capacità dell’uomo di trasformare la materia prima per adattarla alle proprie necessità. Lo stabilimento, che attualmente impiega circa sedicimila persone, si avvia a celebrare i trent’anni della posa della prima pietra. È un traguardo che, mentre registra innegabili successi, sollecita opportuni, indilazionabili ripensamenti. Non solo dei metodi operativi e delle strategie di mercato – cosa già in corso con la creazione della Società ILVA – ma anche, e soprattutto, della concezione di sviluppo, a cui ci si è, nel passato, ispirati.
Tuttavia, promuovere la capacità produttiva di un complesso industriale non è tutto, e non è neanche quello che più conta. Il valore e la grandiosità di un impianto di produzione, sia pure così impressionante come è questo vostro, non devono misurarsi unicamente con criteri di progresso tecnologico o di sola produttività e redditività economica e finanziaria, ma anche e soprattutto con criteri di servizio all’uomo e di corrispondenza a ciò che la vera dignità del lavoratore, in quanto immagine di Dio, richiama ed esige”.
E con queste parole infatti, nell’ottobre 1989, si rivolse a operai e dirigenti Ilva durante la sua visita nello stabilimento. Parole che, purtroppo, pongono l’accento su una situazione ancora drammaticamente attuale.
Ad ogni buon conto Wojtyla ha lasciato un’eredità che rimarrà certamente per sempre impressa nella storia dell’umanità con frasi, sguardi e gesti che sono diventati incancellabili dalla memoria di ognuno.
M.L.