Dal presidente ConfCooperative Taranto, Carlo Martello, riceviamo e pubblichiamo
Taranto rischia di vivere una Chernobyl industriale e il sistema pubblico/privato cerca di correre ai ripari. Si attiva il tavolo CIS, vengono proposte e finanziate importanti iniziative, si cerca di sviluppare attività di vario genere diverse da quelle siderurgiche.
La Camera di Commercio si pone come riferimento dei vari Comuni del territorio, della Provincia e dell’Autorità Portuale per coordinare eventuali azioni di sviluppo, facendo anche appello a tutte le categorie economiche affinché promuovano settori imprenditoriali alternativi.
Tra i tantissimi timori e le poche speranze, la Provincia di Taranto avvia la Gara n. 127, relativa al servizio di integrazione scolastica/assistenza specialistica anche con diversità neurosensoriali in favore di alunni diversamente abili delle scuole di secondo grado della provincia.
Potendolo fare, richiede ai fini dell’ammissione alla gara l’avvenuta esecuzione di un unico contratto di punta. Il problema è che il requisito richiesto non è posseduto da nessuna impresa di Taranto, e questa circostanza è ben nota all’Amministrazione Provinciale, così come è noto che poche imprese in Italia lo possiedono.
Quindi, nel momento in cui molte imprese tarantine rischiano di chiudere per la vicenda ex ILVA, la Provincia di Taranto preclude ad altre la possibilità di concorrere a gare invocando requisiti particolarissimi.
E così la stessa Provincia di Taranto che al tavolo del CIS concorre a stabilire premialità per le imprese tarantine, in altra sede le penalizza per ragioni incomprensibili.
In altri territori le stazioni appaltanti fanno di tutto per sostenere l’imprenditoria locale, arrivando, come ha fatto la Provincia di Trento, a stabilire riserve in favore delle imprese di inserimento lavorativo.
Probabilmente i disastri di Taranto non interessano l’Amministrazione Provinciale che certamente non ha mostrato coerenza istituzionale e, totalmente esente dal dover rispondere al consenso popolare, se ne infischia delle sofferenze e delle aspettative delle imprese del luogo.
Occorre anche ricordare che è pur vero che la stazione appaltante può fissare discrezionalmente i criteri di partecipazione, ma per effetto del decreto legislativo 50/2016 , art. 83, comma 2, deve pur essere garantito l’interesse pubblico ad avere il più ampio numero di potenziali partecipanti. E nel caso in questione ciò non è stato consentito dai particolarissimi requisiti richiesti.
Una Amministrazione pertanto lontana anni luce dalla sua missione istituzionale “tarantina”, che bene farebbe a cambiare denominazione chiamandosi “Provincia di nessuno”.
Un aborto istituzionale nato da una pasticciata riforma che la sottrae alle sue responsabilità e che un legislatore attento dovrebbe definitivamente cancellare sopprimendone l’esistenza.