“La mafia non è affatto invincibile. E’ un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”.
Con queste parole Giovanni Falcone esorcizzò la mafia, nel corso di un’intervista rilasciata il 30 agosto 1991 a Rai3. E poco meno di un anno dopo venne ucciso. Ucciso brutalmente nell’attentato conosciuto come la strage di Capaci. Era il 23 maggio 1992, esattamente 27 anni fa.
Non aveva nulla di speciale Falcone. Era un uomo anche lui, certamente con dei sentimenti, con numerose debolezze e con una sfilza di difetti. Ma quello che lo ha caratterizzato è il fatto di credere in qualcosa. In qualcosa che ha perseguito all’inverosimile e che poi è divenuto il suo obiettivo di vita. Un obiettivo che ha saputo sostenere e difendere a costo della sua stessa vita. Insomma, ha combattuto una guerra. Quella per la legalità e la giustizia. Questo era il suo ideale.
Ma non ha alcuna importanza se Falcone è stato ucciso a Capaci o meno (poteva essere stato ucciso in qualunque altra parte del mondo). Non ha neanche importanza se Falcone facesse la guerra a Cosa Nostra (poteva trattarsi di qualsiasi altra organizzazione criminale). Inoltre, il problema non è neanche legato a lui o alla Sicilia. Perché il suo scopo di vita, la sua guerra è quella che riguarda una nazione intera. Ancora oggi.
Ma facciamo attenzione… il problema non è solo legato a quello che l’immaginario comune ci fa vedere e che ci impone di puntare il dito solo contro chi di illegalità ci campa.
Le colpe sono anche di chi nella vita ha scelto di vivere nell’ombra delle proprie paure, di chi omette o di chi ha scelto di girarsi dall’altra parte. Non a caso, quando Falcone disse “Gli uomini passano ma le idee restano ma devono continuare a camminare sulle gambe di altri uomini”, non si riferiva alla sua guerra. Ma si riferiva alla sua guerra come veicolo verso un modello che potesse diventare un patrimonio comune. Un patrimonio di un valore inestimabile, del quale tutti i posteri avrebbero potuto usufruirne. Senza eccezione alcuna.
Quindi non è Falcone da celebrare. E’ il suo esempio quello da ricordare e su cui riflettere ogni giorno.
Cosimo Lucaselli
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