Stando al codice del contribuente potrebbe però slittare tutto al 2021
Con i nuovi paletti si creano ulteriori gravi disparità tra contribuenti
Forza del cambiamento, ovvero cambiamento repentino di idee! Una norma entrata in vigore solo a gennaio del 2019 è stata stravolta con la nuova manovra economica. Nessuna certezza, totale instabilità, ma soprattutto come appare chiaramente volontà di fare cassa laddove è più facile. Le politiche degli ultimi governi nei confronti delle partite IVA è a dir poco penalizzante, per usare un eufemismo. Ormai tra tasse e contributi si supera abbondantemente il 65% di prelievo. Per non parlare della burocrazia asfissiante. Con la riforma della Flat Tax, entrata in vigore solo un anno fa, si è combinato un gran pasticcio creando i presupposti per una esagerata disparità di trattamento tra contribuenti. Abolita l’estensione ai redditi fino a 100 mila euro, si è introdotto, tra l’altro, o meglio reintrodotto, il paletto del limite di cumulo tra reddito da lavoro dipendente, e assimilabile, e lavoro autonomo. In particolare un provvedimento che non ha alcuna ragione di applicarsi al reddito da pensione. (che di fatto è una rendita)
Ma vediamo un caso concreto:
“Ad esempio chi percepisce un reddito da lavoro autonomo di cinquantamila euro e uno da locazione di trentunomila, che non rientra nei limiti imposti dall’ultima legge di bilancio, pagherà sul primo solo il 15% di flat tax e sul secondo la cedolare secca del 21% per un totale di 12.360 euro. Al contrario, chi oltre ai 50mila di lavoro autonomo ne percepisce 31 mila da lavoro dipendente esce dalla flat tax e si vedrà applicare sul reddito complessivo di 81 mila euro la tassazione ordinaria, con un esborso di 21.427 euro». ( nota del tributarista Gianluca Timpone pubblicato da La Stampa)
Quindi due soggetti che registrano lo stesso reddito complessivo, entrambi partite Iva; uno dei due paga ben 9.067,00 euro in più. E’ evidente l’assurdità di questa norma che, ci risulta, sia stata in qualche modo contrastata da esponenti del PD al governo e invece fortemente sostenuta dalla componente M5S. In ogni caso la norma è ormai in vigore.
C’è qualche speranza. La prima viene dal Codice del Contribuente art. 3. comma 2:
2. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti.
L’agenzia delle entrate già nel 2019 in presenza di analoga situazione chiarì con una circolare: «In considerazione della pubblicazione della legge di bilancio del 2019 nella Gazzetta Ufficiale n.302 del 31 dicembre 2018 e in ossequio a quanto previsto dall’articolo 3, comma 2, della Legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), qualora alla predetta data il contribuente si trovasse in una delle condizioni tali da far scattare l’applicazione della causa ostativa in esame già a partire dal 2019, lo stesso potrà comunque applicare nell’anno 2019 il regime forfetario, ma dovrà rimuovere la causa ostativa entro la fine del 2019».
L’auspicio poi è che il governo si ravveda e ponga rimedio, anche se le speranze sono poche.