Convivere con un disturbo alimentare può essere difficile, ma prevenirlo e spiegarlo è compito dei professionisti
BARI – Aula piena al secondo piano della facoltà di Giurisprudenza e Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Bari. L’associazione studentesca “Studenti Per” ha organizzato un apposito convegno per analizzare il fenomeno dei DCA (Disturbi cronici alimentari). Un particolare ringraziamento agli ospiti: Prof. Alessandro Costantini, docente di psicologia dello sviluppo e della genitorialità, Elisa Coianiz, autrice del libro “Senza Pensieri”, Serena De Sandi, presidente Univox Bari, Vincenzo Lisco, rappresentante degli studenti, Noemi Basile, rappresentante degli studenti.
Sottolineando l’importanza di tali disturbi, occorre inquadrarli sotto due prospettive. Costantini ha lavorato nel campo dei disturbi alimentari dal punto di vista clinico. “È un disturbo subdolo, complesso, spesso con tante variabili. Non è sempre di facile diagnosi” – spiega il docente. I disturbi della nutrizione alimentare (DNA) colpiscono circa il 5% della popolazione, rappresentando un vero e proprio pericolo: sono infatti la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali nella fascia 12-18. Con la pandemia, spiega ancora il docente, il fenomeno sembra essersi aggravato, con una registrazione di circa 30 nuovi casi nel primo semestre del 2020.
Quanto tempo occorre per un trattamento adeguato? Ad oggi, purtroppo, circa 3 anni e mezzo. 91 settimane per realizzare la presenza del disturbo, 58 settimane per la consapevolezza del disturbo e il contatto con il medico, 11 settimane per il contatto tra il medico e lo specialista, 8 settimane prima di una corretta diagnosi e concettualizzazione, 8 settimane prima di iniziare una terapia vera e propria. Le cause? In realtà non esiste un’unica causa specifica, ma una combinazione di molteplici fattori. Ideale della magrezza, pressing da parte delle famiglie, concetto errato della percezione della propria persona e scarsa autostima possono giocare un ruolo cruciale, in un disturbo che prima di avere ricadute sul fisico è intanto psicologico.
Nuovi studi hanno evidenziato delle sottocategorie appartenenti allo stesso disturbo. Non più solo anoressia o bulimia, ma uno spettro ampio vero e proprio, sino ad arrivare alla Drunkorexia, ovvero una drastica riduzione delle calorie per assumere più sostanze alcoliche. Tra gli attori principali in campo, perfezionismo, mania del controllo e disturbo ossessivo compulsivo, riconoscere la causa scatenante può talvolta essere complesso.
Complessità a doppia facciata. Oltre al lavoro clinico di uno specialista, ad un coordinamento tra psicoterapeuta e psichiatra, le testimonianza di chi ha affrontato il disturbo e ne è uscito vittoriosamente fuori possono fare la differenza. Serena De Sandi, presidente Univox Bari, ha reso la sua malattia una battaglia. Con commozione racconta il suo difficile percorso, stimolando e motivando chi ora è in una situazione di difficoltà per un DCA o un disagio di tipo psicologico. Serena ha potuto esprimere la sua gratitudine per tutto ciò che la sua guarigione le sta portando, parlando dell’inizio del disturbo dai tempi dell’università. Con il suo racconto ha abbattuto la patina del perfezionismo, colpendo un sistema pressante, che oggi più che mai, ha reso tanti, troppi studenti, più fragili. Nel gergo psicologico esso può creare un pensiero dicotomico, che il prof. Constantini ha spiegato lucidamente: il tutto o nulla, l’oscillazione tra il perfezionismo e il niente, con conseguente svalutazione di se stessi e con l’identificazione dell’io nella patologia presente.
La seconda testimonianza è arrivata con Elisa Coianiz, autrice del libro “Senza Pensieri“. Un’esperienza che presenta un fattore differente: questa volta il DCA non si è originato da una bassa autostima, ma al contrario da un’alta e positiva concezione della propria personalità. Il filo comune, però, è il medesimo. Alla base c’è un altro racconto di una storia che dalla sofferenza ha portato gratitudine e insegnamento, che l’ha condotta a scrivere un libro per raccontare la sua storia. Un applauso scrosciante ha chiuso l’evento, ricordando l’estrema importanza della fragilità umana, e la capacità di cogliere tutti le sfumature dell’altro. In un mondo, che in fondo si basa sulle fondamenta della socialità e dell’importanza di condividere agli altri le nostre difficoltà.
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