Due cittadine italiane, dal cognome simile, ma dal contesto molto diverso: Cecilia Sala, Ilaria Salis
Cosa hanno in comune? Entrambe una cattura in un paese straniero, entrambe condizioni di detenzione difficili, con un lavoro incessante e complesso di cooperazione tra due stati, assordato da chiacchiere, giudizi e critiche della stampa, dei cittadini, della società. Ilaria Salis, un insegnante di 39 anni di scuola elementare a Monza si trovava in Ungheria nel mese di febbraio 2023 durante le celebrazioni del Giorno dell’Onore, un evento per commemorare un battaglione nazista che si oppose all’armata rossa. Cecilia Sala, giornalista italiana di 29 anni, eccellente penna del “Foglio” e di “Chora Media”, si trovava in Iran per lavoro, quando il 19 dicembre del 2024 è stata arrestata dalle autorità iraniane e reclusa nel carcere di Evin, Teheran.
L’arresto
L’11 febbraio 2023 l’arresto di Ilaria Salis è stato giustificato dai capi di accusa contestati all’insegnante di lesioni personali e l’appartenenza ad un’organizzazione antifascista che avrebbe – secondo il racconto – colpito fisicamente dei neonazisti. 15 mesi di detenzione, e dopo gli arresti domiciliari. Difficili condizioni penitenziarie, ma pur sempre accomunate ad altri stati occidentali, che hanno un’usanza sicuramente diversa dai nostri costumi: condurre l’imputato in aula incatenato a mani e piedi.
La reclusione nei due stati
I due contesti di reclusione? Crediamo che i nostri lettori abbiano già distinto la differenza tra una teocrazia ed una democrazia. L’Unione Europea, con la garanzia della Cedu, la certezza della mancanza della pena di morte, la presenza di diritti umani e uno standard di diritti garantiti a tutti i paesi che ne fanno parte – proprio come requisito essenziale di ingresso nella stessa Unione – è ben differente dall’Iran, dove una brutale repressione è in atto nei confronti dei giornalisti e dei dissidenti politici. Insomma, non di certo una sentenza Torreggiani e favoritismi lì nel carcere di Evin a Teheran. 7 persone in una cella, luce accesa 24 ore, torture fisiche e psicologiche, cibo marcio e avariato, nessuna certezza sul rispetto dei diritti umani. Le celle sono spesso sovraffollate, con numerosi detenuti costretti a condividere spazi angusti. Le condizioni igieniche sono precarie, con accesso limitato a servizi igienici e cure mediche. I detenuti riferiscono di dover dormire su coperte stese sul pavimento di cemento, senza materassi o cuscini, e di avere a disposizione solo 30 minuti d’aria in piccoli cortili per non più di quattro giorni a settimana. Le carceri ungheresi presentano anch’esse gravi problemi di sovraffollamento, ed un utilizzo usuale di catene e manette. Caso non isolato, se paragonato ad altri stati occidentali.
Roberto Salis ed Elisabetta Vernoni
Due genitori angosciati: Roberto Salis come padre di Ilaria Salis, attivo criticamente nell’arco del periodo temporale nel quale la figlia è stata reclusa in Ungheria, Elisabetta Vernoni come madre di Cecilia Sala. Le affermazioni di Roberto Salis hanno spesso contestato l’operato del Ministro degli Esteri Tajani, ponendosi in una posizione di dissenso. A suo parere “il governo avrebbe fatto molto poco e la liberazione di Ilaria Salis, eletta poi come deputata presso le file di Alleanza Verdi e Sinistra, non sarebbe stata merito del governo Meloni”. Elisabetta Vernoni ha parlato con la premier Giorgia Meloni ieri. Un colloquio tranquillo e rassicurante, nel quale ha richiesto un silenzio stampa sulla vicenda, per non complicare ulteriormente il quadro della situazione. Un clima di fiducia nei confronti delle istituzioni, un silenzio rispettoso e calmo, la volontà di comprendere la delicatezza di una complessa situazione geopolitica in atto, e la fermezza di non esternare rabbia e disagio nei confronti degli esponenti al governo che in queste ore stanno lavorando per un dialogo.
Foto: generata con intelligenza artificiale