I Commissari straordinari hanno confermato ufficialmente ciò che è noto ormai a tutti: manca la liquidità, e non solo quella. "Un paese quasi pefetto" un film da vedere assolutamente.
L'Ilva chiude a settembre, forse no, ma.....
I commissari straordinari dell'Ilva hanno ufficializzato ciò che ormai è noto a tutti da tempo. L'Ilva continua a macinare debiti su debiti; si parla di un milione di euro al giorno! Va da sè che in queste condizioni, innanzittutto, l'operatività è sicuramente compromessa e con essa la efficienza e la sicurezza, ma, soprattutto, è evidente che non si possa andare avanti all'infinito. Ciò favorisce sicuramente il gruppo imprenditoriale franco-indiano che, forte peraltro di un contratto firmato lo scorso anno, mira a gestire il più grande siderurgico europeo. Il Governo prova ad ottenere il massimo brandendo la spada di Damocle del possibile annullamento delle gara per ipotesi di irregolarità. In realtà è solo un gioco delle parti perchè se a settembre non arrivano risorse economiche lo stabilimento rischia il default totale. Del resto pensare oggi ad una diversa soluzione è improponibile. Ma non per tutelare la occupazione e men che meno la salute dei tarantini. L' acciaio è strategico soprattutto per quell'universo di piccole e medie impese del nord, tanto care a Salvini, che da sempre utilizzano l'acciaio tarantino per sfornare lavatrici, frgoriferi, scaffali e perfino bulloni, per non parlare delle auto. La scelta di Taranto negli anni sessanta non fu affatto casuale. Un Paese senza materie prime necessita di un porto come quello di Taranto, avanposto nel Mediterraneo, per ricevere i materiali da fondere e spedire i prodotti finiti. Come dire: qui il lavoro sporco, al nord il resto. Uno stabilimento a ciclo integrale delle dimensioni dell'Ilva di Taranto, e nelle condizioni in cui versa oggi, andrebbe chiuso. Questo lo sanno tutti ma gli interessi economici che ruotano intorno all'acciaieria sono tali e tanti che è impensabile solo ipotizzare questa soluzione. E ci pare che anche Di Maio lo abbia ormai metabolizzato. E si gioca sul "ricatto occupazionale" che in realtà non è affatto il vero problema. Taranto dagli anni del boom dell'allora Italisder ad oggi di posti di lavoro ne ha già perso oltre 30 mila. C'è un film dal titolo "Un paese quasi perfetto" con Silvio Orlando (https://it.wikipedia.org/wiki/Un_paese_quasi_perfetto), che racconta una storia che merita di essere conosciuta: in un piccolo paese ( del Sud ovviamente!) chiude l'unica fonte di lavoro, una miniera. Tutti finiscono in cassa integrazione. L'intero paese si mobilita per provare ad attrarre sul territorio nuovi insediamenti industriali. Nonostante gli sforzi e anche qualche "forzatura" l'obiettivo non è raggiunto. Dall'intuizione di un medico nasce l'idea di trasformare la vecchia miniera in un museo e si utilizza una funivia come attrazione turistica. Il paese rinasce e tutti tornano al lavoro. Due considerazioni: la prima è che nulla è impossibile se c'è un progetto concreto e la volontà di realizzarlo; la seconda, fondamentale, è che TUTTO il paese, nel film, si mobilita e fa gioco di squadra. Perché a Taranto non è possibile? Sicuramente perchè gli interessi nazionali prevalgono su quelli locali ma, soprattutto, perché non c'è per nulla unità di intenti. Ci si divide su tutto! Sappiamo bene come all'interno della galassia delle associazioni ambientaliste ci siano posizioni diverse. Ma ciò che più rileva è che le principali istituzioni, le associazioni di categoria, i sindacati e le gran parte dei movimenti politici, sono per il mantenimento dell'asset industriale. Quindi c'è poco da sperare. O si trovano risorse, nel limite oltretutto delle norme europee, o ci si affida alla cordata (straniera!) che ha vinto la gara, o ci si prepari al fallimento. Alla fine, come sempre, ci sarà il compromesso; dalle trattative spunterà l'uovo di Colombo, e finirà tutto a tarallucci e vino.....riogorosamente .alla diossina.
f.r.