Alla ricerca dell’infelicità
Contrariamente a quanto sancito nella costituzione Americana riguardo il diritto alla ricerca della felicità più di qualcuno tra noi sembra alla ricerca dell’esatto opposto. Alcuni di noi sacrificano costantemente la propria felicità e realizzazione in favore del totale benessere altrui, assicurandosi costantemente che tutti abbiano ciò di cui hanno bisogno, tutti tranne uno. Alcune persone “appaiono” soffrire sempre per un bene superiore in modo volontario e disinteressato, a condizione però che tutti intorno a loro lo sappiano chiaramente; se qualcuno mai lo dimenticasse sono pronte a ricordarglielo a parole o con un malanno fisico, mentale o emozionale dovuto al continuo e “generoso” sacrificio.
Complesso della vittima
La sindrome del martire, o complesso della vittima, è una forma di comportamento passivo-aggressivo, un modo malsano per cercare di ottenere attenzione ed approvazione. Le persone che ne sono afflitte si considerano spesso vittime delle circostanze ingiuste della vita e tendono ad assicurarsi che gli altri riconoscano la loro “forza” contro le sventure di una vita che si manifesta sempre nefasta, infelice e ricolma d’irriconoscenza. In definitiva, queste persone si esauriscono emotivamente creando spesso delle dinamiche relazionali mutuamente tossiche. Un senso di autostima ridotto può generare un costante desiderio di essere apprezzati, così diventare importanti per gli altri diventa un fattore trainante nel comportamento di chi soffre di questo complesso del martire; poiché hanno poca fiducia nel proprio valore reale come persone, trovano il modo di manipolare le circostanze e le altre persone ponendosi nel ruolo di vittima che richiede la loro attenzione e simpatia.
Una vita di sacrifici
L’esempio tipico di questo comportamento sociale e familiare, a volte anche un po’ stereotipato, è quello della madre che ha concentrato tutta la sua vita sul benessere dei figli, trascurando i suoi bisogni, i suoi desideri e la sua crescita personale nel mondo. Man mano che i figli crescono e diminuiscono i bisogni che possono da lei essere soddisfatti, la mamma vede il suo valore diminuire, e non trovando più le forze o la volontà di vedersi come donna, utilizza il senso di colpa e un approccio passivo-aggressivo per costringere i suoi figli ad apprezzarla e ad aver bisogno di lei. Può farli sentire come se avesse “rinunciato” a tutto per loro, elencando spesso tutte le azioni che ha per i figli perseguito a spese della propria vita e felicità. Questo è un comportamento, che se costante, diventa molto distruttivo e tossico e alla fine creerà una divisione nella relazione piuttosto che una vicinanza. Questi atteggiamenti vedono spesso i loro natali nella prima infanzia, quando i bambini modellano dei comportamenti familiari che sembrano vincenti nell’attrarre l’attenzione, o vengono fatti sentire come “oggetti” privi di valore, sviluppando in loro il desiderio di crearlo operandosi costantemente per il benessere dei genitori, di un fratello o di chiunque possa farli infine sentire apprezzati. I piccoli cercando queste convalide creano inutilmente la propria sofferenza per costringere gli altri a fornire conferma del proprio valore.
Ne siamo afflitti ?
- I nostri sforzi sono dedicati solo al benessere degli altri, ma non ne siamo mai realmente soddisfatti ?
- Teniamo un elenco mentale delle difficoltà che abbiamo sopportato ? Ci raccontiamo e raccontiamo tutti i torti che riteniamo di aver subito per mano di altri?
- Abbiamo consegnato la responsabilità della nostra vita in mani altrui ? Quello che fanno gli altri cambia fondamentalmente il nostro modo di percepirci mentre invece pensiamo di essere forti ?
- Diciamo sempre di si mettendo noi stessi per ultimi, facendo però pesare i nostri “si” ?
- Non manifestiamo mai il bisogno di essere aiutati ? C’infastidisce l’offerta di un aiuto ?
- Pensiamo mai che “Non avrebbero potuto farlo senza di me” ?
Se abbiamo risposto positivamente a molte di queste domande, probabilmente siamo mani e piedi in questa sorta di sindrome. Se non ci ritroviamo, allora per gioco e solo per gioco, possiamo guardarci intorno e rispondere per le persone con cui siamo in relazione.
Cosa fare ?
Avere a che fare con una persona martire a tutti i costi può essere molto frustrante, può inconsapevolmente e senza colpa alcuna drenarci molte energie ed attenzioni, mettendo a dura prova la nostra pazienza. È importante però comprendere che, sebbene manipolatrice, una persona che si comporta come un martire difficilmente lo fa con fini malevoli, il suo e il nostro malessere nasce dal suo bisogno di essere valorizzata, che in definitiva è quello che tutti annoverano tra i bisogni sociali.
La pazienza e la comprensione sono le chiavi per la comunicazione che migliora la relazione, spesso chi mette in atto questi comportamenti non ha per niente idea di cosa stia facendo poiché lo fa da così tanto tempo da non percepire altre alternative di vita. Una graduale presa di coscienza, sollecitata anche dalle domande che ci siamo posti come lettori, con un parallelo rinforzo delle abilità e competenze sviluppate proprio con tutto il gran darsi da fare per gli altri unitamente alla riscoperta dei propri bisogni e desideri, può rendere la vita nuovamente saporita, quella propria però, senza cibarsi di quella altrui.
C’è poi sempre la possibilità di ricevere un aiuto da un professionista della mente, ma non sarà facile chiederlo.
Dott. Egidio Francesco Cipriano
Psicologo – Informatico
Foto di unicadmo79 da Pixabay
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