E’ un reparto che oggi risponde concretamente a tutte le esigenze del territorio. La sua crescita e i percorsi di questi ultimi anni raccontati dal primario Salvatore Pisconti
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando, a Taranto, l’Oncologia era solo un ambulatorio, sito presso l’ospedale vecchio (l’attuale padiglione “SS. Crocifisso”), sino ad arrivare all’attuale assetto. Infatti, più di vent’anni fa, tutto è stato trasferito presso l’ospedale “San Giuseppe Moscati” e l’Oncologia negli anni è diventata sempre di più una grande struttura. Insomma, un reparto all’avanguardia, capace di fronteggiare tutte le necessità sanitarie e che oggi costituisce un punto di riferimento per tutti i pazienti del territorio jonico e non solo…
Fra le altre cose il fatto stesso che il reparto di Oncologia a Taranto sia collocato all’interno del “S.G. Moscati” non è un caso. Perché si tratta dell’ospedale per il quale la Asl di Taranto ha investito tanto, arricchendolo, soprattutto in questi ultimi anni, con numerose altre discipline ad afferenza oncologica.
Dalla fine del 2018, il reparto fa parte della grande riorganizzazione disposta dalla Regione Puglia, che vede le discipline oncologiche confluire all’interno della Rete oncologica pugliese (Rop). Nello specifico, Taranto è inglobata (ed è “capofila”), nella macroarea jonico-adriatica, che comprende anche la provincia di Brindisi. E anche se può sembrare ripetitivo, non va dimenticato che Taranto soffre di numerose problematiche legate alla sfera ambientale, determinate dalla presenza dello stabilimento (ex) Ilva e di altri insediamenti industriali. Ragion per cui è facilmente comprensibile che l’Oncologia abbia assunto in questi anni particolare importanza strategica per la provincia jonica.
Ad ogni buon conto, per capire meglio i percorsi di questo cammino, “Oltreilfatto” lo ha chiesto direttamente al primario del reparto, Salvatore Pisconti.
Dott. Pisconti, il reparto di Oncologia di Taranto ha subito in questi ultimi anni numerosi cambiamenti. Vuole delinearci i percorsi intrapresi in questi ultimi anni?
“C’è stata una continua crescita in termini di offerta, di prestazioni e, ovviamente, di implementazione dell’organico, per cui oggi riusciamo a operare su tre settori. Il primo settore è quello ambulatoriale, che comprende le visite cliniche (sia prime visite, che visite di controllo). Le necessità hanno voluto che si creasse poi un ambulatorio dedicato alle terapie orali, con la conseguente creazione di una competenza medica specifica per questi trattamenti. Questo perché gran parte dei trattamenti antitumorali, attualmente, vede in questa tipologia di terapia, nei farmaci biologici, i trattamenti appropriati. A seguire, c’è poi un day hospital, che si è trasformato in day service. Ovviamente il numero delle prestazioni è andato crescendo in maniera esponenziale. In questa attività sono impegnati cinque medici,che lavorano dal lunedì al venerdì in modo continuativo. Infine, la degenza ordinaria. Al suo interno assicuriamo tutte le prestazioni inerenti la nuova oncologia medica. Per cui il paziente tarantino non ha la necessità di andare altrove, perché, tra l’altro, si svolgono nella struttura anche degli studi che consentono di dare al paziente opportunità che ancora non sono in vigore in modo convenzionale. Da qui si è creata la necessità di avere anche i data manager, ne abbiamo tre. Questo ci consentirà di poter mantenere studi sperimentali attivi e, quindi, di dare al paziente o un’anticipazione di cura o un trattamento che non ha ancora visto ufficialmente l’approvazione degli organi regolatori ministeriali. Quindi,in definitiva, questo permette di dare al paziente tarantino tutto quello di cui necessita. In più è stata potenziata notevolmente tutta la parte diagnostica, non solo quella per immagini, ma anche quella invasiva, che comprende le biopsie, le valutazioni particolari di metastasi allocate negli organi o in punti particolari e i trattamenti loco-regionali (come la chemioembolizzazione, le radiofrequenze e le termoablazioni). Il fatto di poter essere sottoposti ai trattamenti loco-regionali, che sono una parte della terapia sistemica del malato oncologico, consente ai pazienti di poter rimanere qui a Taranto, senza doversi rivolgere ad altri centri per ricevere parte della terapia”.
Recentemente invece è stata istituita la Rete oncologica pugliese (Rop). Quali novità ha introdotto nella definizione dei percorsi diagnostici e terapeutici dei pazienti oncologici?
“La Rete oncologica nasce dalla volontà del presidente della Regione Puglia di creare un’uniformità nell’offerta oncologica con la ripartizione della popolazione pugliese in quattro macroaree. Per quel che ci riguarda, noi siamo inseriti nella macroarea jonico-adriatica, con Taranto che è ‘hub’. Infatti, a questo proposito si è eletto il “San Giuseppe Moscati” come ospedale oncologico, nel quale afferisce anche tutta la provincia di Brindisi, oltre che quella di Taranto stessa.
Per quanto riguarda l’offerta sanitaria, la Rete si concretizza in due organismi, ovvero il Centro di orientamento regionale oncologico (Coro) e il Gruppo di patologia interdisciplinare.
Il Coro è l’organismo grazie al quale l’utente (non ancora divenuto paziente), che ha un sospetto, o il paziente che si affaccia alla prima diagnosi, componendo un numero (quello diretto regionale), accede qui e viene preso in cura nell’arco di 48 ore. E da quel momento viene indirizzato in un percorso, che può estrinsecarsi nel ricovero o nella discussione del caso in gruppi multidisciplinari, oppure nell’affidamento ambulatoriale, o ancora nell’affidamento al day service, oppure nella gestione delle cure palliative (cioè nella gestione domiciliare Ant oppure l’hospice).
Siamo partiti con il Coro il 14 gennaio 2019, così come prevedeva il regolamento regionale, e ad oggi abbiamo eseguito 341 prime visite e abbiamo definito 90 percorsi diagnostici. Quindi, un numero molto importante, seguito da una grande soddisfazione da parte dell’utenza. Nel Coro è presente un medico oncologo (che è il coordinatore di questo organismo), poi ci sono due amministrativi (con funzioni di data entry, che si occupano di tutta la parte burocratica che va dalla prenotazione degli esami d’implementazione sino all’esenzione ticket 048), un’assistente sociale, uno psicologo, un infermiere (che fa da collante con i gruppi di patologia interdisciplinare), e infine il mondo del volontariato. Noi raccogliamo soddisfazioni perché il paziente viene realmente preso in cura in toto.
Invece il Gruppo di patologia interdisciplinare è un’altra istituzione che abbiamo voluto in quest’ospedale. Sono già attivi cinque gruppi, specificatamente per il gastroenterico, per il ginecologico, per l’urologico, per il polmone e per la mammella. Intorno al tavolo tecnico si riuniscono tutte le professionalità che possono entrare nella gestione del caso clinico. Quindi, periodicamente c’è una riunione del gruppo che discute a 360 gradi le problematiche inerenti quel determinato caso. E la letteratura scientifica ormai è piena di lavori attestanti che la discussione collegiale implementa il risultato rispetto a una consultazione istituzionale monoprofessionale”.
C’è stata dunque una crescita del numero di accessi con l’avvio di questi nuovi organismi?
“C’è stata una crescita del numero di accessi, ma soprattutto si è anche qualificata l’offerta oncologica, in termini di opportunità di cure, di opportunità di diagnosi, di multidisciplinarietà appunto e quindi di gestione della complessità dei casi oncologici.
Oggi noi, senza tema di smentita, possiamo accreditarci fra i centri oncologici di rilievo nazionale. Tant’è che laddove c’è, da parte del paziente, la necessità di sentire un secondo parere presso centri blasonati del nord Italia, accade che arrivano lì e poi tornano subito qui. Questo perché i colleghi riconoscono la nostra offerta sanitaria, agevolando il percorso terapeutico senza appesantirlo con problematiche derivanti dalla necessità di andare fuori sede”.
Qualche dato…
“I nostri numeri sono aumentati. Ma attenzione… sono aumentati perché il paziente non va più altrove per curarsi. Quindi, prima c’era una migrazione passiva enorme (che siamo riusciti quasi a colmare del tutto). E al contrario, essendo diventati un centro ‘virtuoso’, adesso abbiamo persino una migrazione attiva, per cui diverse persone provenienti dalle regioni limitrofe (in particolare da Calabria e Basilicata), e dalle province limitrofe si rivolgono a Taranto. Tutto ciò ha quindi determinato un incremento notevole dei numeri di accesso”.
Quali sono le neoplasie più diffuse e quali sono le fasce di età sono le più colpite?
“Le neoplasie più diffuse sono quelle storiche, quelle che vengono definite dai media i ‘big killer’, ovvero la mammella, il colon-retto, il polmone e la prostata. Mentre le fasce di età colpite dipendono dalle patologie. Ovvero ogni specifica patologia ha una maggiore incidenza in determinate fasce di età”.
Cosimo Lucaselli