Concetto chiaro e condivisibile. Ma si applichi a tutto e a tutti.
Cambiare subito norme illiberali che penalizzano chi vuol lavorare
Flat tax oggi negata ai pensionati che svolgono un’attività (regolare)
“Non disturbare chi vuol fare” motto del Governo Meloni, rappresenta idealmente la visione di una società che lascia liberi i cittadini di sviluppare proprie iniziative dando la possibilità a tutti di scegliere come occupare il proprio tempo, le proprie energie, le proprie risorse.
Una visione molto diversa da quella di chi, invece, pretende di imporre limiti, lacci e lacciuoli, stabilendo ciò che si può e ciò che non si può fare a prescindere dalla volontà dei singoli.
Parliamo naturalmente sempre di attività lecite.
Tante sono le norme assolutamente illiberali che limitano la libera iniziativa.
In campagna elettorale si è parlato molto, tra i tanti argomenti rientranti nei programmi di ciascuna parte in campo, di “flat tax”.
Ricordiamo la disputa tra Lega e Forza Italia circa la percentuale da applicare (15 o 20 %).
Al momento pare che l’argomento sia accantonato. Si parla solo di una possibile variazione dell’attuale regime, portando a 85.000 il limite di ricavi dagli attuali 65.000, e della introduzione di una non meglio definita “tassa incrementale”.
Nell’ambito del regime attualmente vigente si registra una clausola assolutamente penalizzante e certamente in contrasto con il sempre trascurato articolo 3 della Costituzione, ma anche dell’articolo 53 C.
L’articolo 1, comma 692, della legge n. 160 del 27 dicembre 2019 (legge di bilancio 2020), stabilisce la esclusione dal regime “flat tax”:
«d-ter) i soggetti che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di cui rispettivamente agli articoli 49 e 50 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, eccedenti l’importo di 30.000 euro; la verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato».
Rebus sic standibus avviene che due cittadini che svolgano la stessa attività e che complessivamente producano gli stessi identici ricavi (65.000 euro), uno attraverso l’unica fonte di lavoro autonomo, l’altro come somma di più fonti, sono sottoposti a due regimi fiscali diversi.
Chi abbia ricavi da lavoro dipendente o assimilabili, leggi pensione (che in realtà è di fatto una rendita!), superiori a 30 mila euro lordi anno NON è ammesso alla flat tax.
Assolutamente in contrasto con l’art. 53 della Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.” Non c’è possibilità di interpretazione; ognuno è chiamato a contribuire alle spese pubbliche in egual misura in relazione ai ricavi.
Sicuramente ci sarà una qualunque ratio alla base di questa clausola “vessatoria”. Qualunque sia è assolutamente penalizzante per chi abbia “voglia di fare”. Non solo; ma incentiva l’evasione! Non ci sono dati ma è di pubblico dominio il fatto che tanti pensionati continuino a lavorare in modo “irregolare” . Si consideri che fatturando regolarmente oltre all’ Irpef si continuano a versare contributi in misura del 24% dei ricavi. Nel 2019 erano poco più di 973mila i lavoratori pensionati regolari(fonte https://www.infodata.ilsole24ore.com/2020/12/26/quanti-pensionati-continuano-lavorare/).
Non abbiamo dati che indichino quanti di questi 973 mila superino i 30 mila euro di pensione. Ma anche se tutti superassero tale limite, la loro ammissione al regime di flat tax non sconvolgerebbe i conti dello Stato; non più di quanto avvenga con il reddito di cittadinanza! Va anche segnalato come 30.000 euro lorde anno rappresentino un reddito affatto alto! Si potrebbe cominciare innalzandolo almeno a 40.000.
Ma, al di là di ogni valutazione sui conti, ciò che rileva è l’impostazione che si vuol dare alla politica economica, e più in generale capire in che modo si voglia garantire discontinuità rispetto al passato.
Restando in tema di pensioni, stando alle fonti giornalistiche, anche per il 2023 la perequazione (che non è un “aumento” ma solo un parziale adeguamento al costo della vita) non sarà uguale per tutti. Superato un certo tetto si passa prima dal 100% al 90% e infine al 75%. È il principio che non torna. È come dire: tu hai versato più contributi, percepisci una pensione più alta, e quindi ti penalizzo!! Come si concilia con il concetto di merito?
Qualcuno potrebbe anche ritenere che i pensionati, nella logica perversa di chi alimenta il conflitto generazionale, non debbano lavorare. Lo si dica apertamente allora. Ma ciò sarebbe in netto contrasto con l’idea di una società libera e con il motto : “non disturbare chi vuol fare“.
Flat tax a parte, infine, la domanda è: continueremo a pagare tasse spropositate o qualcosa davvero cambierà? Aspettiamo la legge di bilancio per valutare.

La tabella è indicativa. Si presume che a parità di ricavi vi sia anche parità in termini di costi e di deduzioni/detrazioni.
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