6 aprile, ore 15:00, 11 gradi, vento fastidioso. Nulla però può fermare i Riti della Settimana Santa tarantina.
Con estrema precisione alle 15 in punto si apre il portone della Chiesa dedicata a Maria Santissima Del Monte Carmelo, meglio conosciuta come “Chiesa del Carmine” ; si apre e compaiono i primi due penitenti (“perdùne”). E’ la prima “posta” che si dirige verso la città vecchia.
Un’altra coppia invece esce dal “retro” e si dirige verso la chiesa di San Francesco.
E’ il pellegrinaggio che i confratelli dell’Arciconfraternita del Carmine perpetuano ogni anno, con qualunque condizione metereologica e rigorosamente a piedi scalzi.


LA PRIMA “POSTA” DIREZIONE CITTA’ VECCHIA
Due giorni senza soluzione di continuità. A mezzanotte dalla Chiesa di San Domenico uscirà l’ Addolorata alla ricerca del Figlio morto per salvare l’umanità. Rientrerà nella tarda mattinata.
Alle 17 di venerdì avrà inizio la processione dei Misteri. Una delle più lunghe processioni che termina solo la mattina del sabato con la tradizionale “bussata” del troccolante.


LA PRIMA POSTA DIREZIONE SAN FRANCESCO – BENEDIZIONE DEL PADRE SPIRITUALE MONS MARCO GERARDO
Di seguito un articolo pubblicato nel 2019 su “La Voce del Popolo” (le foto sono del 2023)
La settimana Santa a Taranto: Fede , Tradizione, e …. Scarcella
La Settimana Santa a Taranto è una di quelle cose che il tempo non è riuscito a cancellare dalle sane tradizioni dei tarantini. L’immutabilità dei riti è sicuramente un elemento che contraddistingue questo momento della vita dei confratelli delle due principali confraternite cittadine: l’Arciconfraternita del Carmine, che dà vita alla lunga processione dei Misteri del Venerdì Santo, e quella dell’ Addolorata e San Domenico che, il giorno prima, rinnova il pellegrinaggio della Mamma di Gesù, in cerca del Figlio. Tutto intorno alle processioni la società appare mutata; mutato in alcuni casi anche lo spirito con cui si assiste ai riti. Ma i riti no; i riti si sono tramandati senza essere influenzati dal “progresso”.









Anche se, va detto, qualche piccola contaminazione c’è stata, ma riguarda il modo di comunicare; l’ Arciconfraternita del Carmine, diretta dal priore Antonello Papalia, affiancato dal padre spirituale Mons. Marco Gerardo, si è dotata infatti di un’ app che consente a chi è dietro le transenne di partecipare attivamente al percorso spirituale della processione, seguendola come se fosse al suo interno. Alle 15:00 del Giovedì Santo dalla Ciesa del Carmine, avamposto del borgo umbertino, escono le prime “poste”, penitenti (perdùn)che a coppie si recano in pellegrinaggio, visitando gli altari del repositorio (comunemente detti sepolcri). Il pellegrinaggio si svolge su due percorsi: quello verso la città vecchia e l’altro nel senso opposto. A mezza notte l’attesa uscita della Madonna Addolorata dalla chiesa di San Domenico. Un lungo pellegrinaggio che durerà fino al mattino inoltrato. Come si è detto si tratta di antiche tradizioni che nel tempo hanno mantenuto inalterate forma e sostanza. La processione del Misteri risale al 1702 quando un nobile tarantino ( Diego Calò) faceva sfilare le prime due statue per una processione privata. Nel 1765 le due statue furono donate all’attuale Arciconfratrenita del Carmine, scelta tra le altre che partecipavano alla prima processione, per lo zelo dimostrato. Si dice (cit. Enzo Risolvo) che il priore del tempo per dare corso alla processione avesse promosso una votazione interna. Votazione che si svolse con il sistema del sasso. Due recipienti, uno bianco e uno nero. Quello bianco per votare si, l’ altro per esprimere parere contrario. Alla fine vinsero i si con 81 voti contro i 12 dei contrari. Poi man mano alle due statue si aggiunsero le restanti 6 che oggi compongono la processione.
Alle 17 del Venerdì Santo esce il troccolante, un confratello che scandisce i lunghi tempi della processione “suonando” alternativamente la troccola, che originariamente serviva per la “chiamata” dei confratelli, nel periodo in cui non si potevano suonare le campane delle chiese. Poi si snodano le statue che procedono lentamente con la classica “nazzicata”. I confratelli sembra che si dondolino; ci sono diverse teorie a riguardo: si dice che, non potendosi fermare si muovessero in questo modo molto lento che simula in ogni caso il movimento. Altra tesi è quella della necessità di bilanciare sulle spalle il peso delle statue. Si tratta di annotazioni che abbiamo tratto da un colloquio con lo storico tarantino Cav. Enzo Risolvo, che sul tema ha scritto anche un libro ( tra i tanti prodotti su Taranto e la sua storia e tradizioni popolari). Al mattino del sabato lo stesso troccolante pone fine al lungo pellegrinaggio con la classica “bussata”.
Con il bordone (un asta che rientra nella dotazione di ciascun confratello) bussa tre volte sul portone della Chiesa del Carmine. La processione dell’ Addolorata, invece, risale al 1872 . La Confraternita dell’ Addolorata e di San Domenico, retta oggi dal Commissario Giancarlo Roberti , e dal padre spirituale Mons. Emanuele Ferro, custodisce la statua all’interno della Chiesa di San Domenico. Tutto il periodo di passione è celebrato dai confratelli con numerose iniziative che precedono la processione in notturna seguita da migliaia di fedeli.
Il periodo pasquale a Taranto ruota sicuramente intorno alle due processioni. Ma non solo; alla Fede che caratterizza i sacri riti, si associa la tradizione e la cucina. In questo ambito molte cose sono cambiate soprattutto per le abitudini alimentari. Un tempo la quaresima prevedeva limitazioni molto stringenti che venivano rigorosamente rispettate, come quella di non mangiare carne ad esempio, di non giocare, di non festeggiare alcunché. IL giorno di Pasqua quindi era davvero un giorno di Risurrezione per tutti e si poteva riprendere a mangiare “a past cù a carn” (la pasta con la carne) e i tipici taralli. Quello più diffuso il tarallo con lievito madre. Poi c’era la scarcella che si consumava il giorno successivo quando si andava fuori porta. Scarcella viene da scarsella la borsa che i contadini usavano per raccogliere le uovo. La scarcella è un grosso tarallo a forma appunto di borsa che dovrebbe contenere tre uova soda (Fede, Speranza e Carità). Molte donne però ne aggiungevano altre quando si trattava di darle in dono.
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