Cosa è accaduto e perché Moussa Sangare l’ha uccisa? Analizziamo i fatti senza sopraelevare il presunto assassino sul patibolo della giustizia mediatica
“L’ho uccisa perché mi andava di farlo” – spiega Moussa Sangari agli inquirenti, il soggetto arrestato per l’omicidio di Sharon Verzeni, la giovane 33enne uccisa a Terno d’Isola tra il 29 e il 30 luglio scorso. Si tratta di un 31enne di origini nordafricane nato in Italia, che adesso è agli occhi di tutti il presunto assassino della giovane ragazza. Il lavoro instancabile delle forze dell’ordine, mediante la visione delle telecamere di sorveglianza, l’ascolto di vicini e parenti di Sharon e tutte le analisi investigative, ha permesso in circa un mese di rispondere ai punti interrogativi sulla vicenda. Non si esclude la pista della malattia psichica e della perizia psichiatrica, con l’opzione sul tavolo della sindrome del mito di Erostrato, per la quale un soggetto avrebbe interesse a commettere un’azione dannosa per il prossimo per poter diventare famoso. Non stupisce, considerando l’uso smodato dei social da parte dei giovani e la prolungata sovraesposizione alla violenza e al culto del protagonismo.
Solo gli esperti potranno meglio indicare una risposta, evitando, come le pagine più buie della cronaca nera nazionale, di allestire un apposito patibolo mediatico per il killer. La prassi italiana è infatti questa: processi prima sul web e nelle prime pagine, arricchiti dal giornalismo sensazionalistico. Le garanzie costituzionali e le procedure che il nostro ordinamento impone, impallidiscono dinanzi alla potenza mediatica dei giornali, che adesso hanno l’occasione di dipingere il mostro in tutte le salse e sbatterlo in prima pagina. Se non basta l’esposizione mediatica arriva quella politica: una ferma condanna all’accaduto con l’augurio che si possa fare chiarezza. Quando nel lontano 2007 l’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, in via della Pergola a Perugia, aveva condotto all’arresto di Amanda Knox e Raffaele Sollecito, la stampa lavorava solo su di loro. Amanda Knox era dipinta in tutte le salse, dai giornali che ipotizzavano la pista della violenza sessuale e la dipingevano come ninfomane e malata di sesso, sino a raccontare una versione dei fatti completamente opposta.
Stesso discorso per Massimo Bossetti e l’omicidio di Yara Gambirasio. Processi mediatici nel tribunale della stampa, con i giornalisti che altro non attendevano, se non avere in pasto una nuova informazione o pista da seguire. In attesa di maggiore chiarezza, dopo le procedure che seguono l’arresto di un soggetto, non dobbiamo commettere ancora una volta l’errore di agitare le acque. Le dichiarazioni di Moussa Sangare, infatti, lasciano spazio a dubbi e interpretazioni, poiché gli stessi inquirenti non sembrano ancora credere completamente alla pista del raptus, e la Procura sembra voler seguire la pista della premeditazione.