Mentre avanza il massacro dei civili ai confini europei e in medio oriente, la narrazione mediatica sui conflitti è semplificata e ridotta ad un tifo da stadio
Nel ricordare tutti una data buia come il 24 febbraio 2022, chiediamo scusa a chi ha creduto fino ad ora che fosse l’inizio del conflitto russo-ucraino, a chi ha portato avanti una sola narrazione,cioè quella secondo la quale “la guerra sarebbe cominciata da quando nel febbraio del 2022 la Russia ha bombardato la città ucraina di Kiev.” I dati storici hanno indicato che l’inizio della guerra risale al 2014, dopo l’insediamento del governo ucraino filo occidentale. Di conseguenza chiederemo scusa, anche qui, a quei lettori che vorranno rinvenire in questa descrizione dei fatti una netta presa di posizione, perché non la troveranno.
Quando l’escalation ha preso piede, si sono verificati due eventi. Come da copione, i massimi esperti di geopolitica hanno invaso gli studi televisivi, litigando sin da subito sulle dinamiche del conflitto. Parallelamente le piattaforme social erano invase di click, di narrazioni fugaci e prive di nozione tecniche e di analisi. Una corsa ai supermercati ha ricordato le stesse dinamiche del 2020. In pandemia finì il lievito, mentre nell’inverno del 2022 scarseggiava il carburante e i prezzi erano esorbitanti. Non possiamo dimenticare le pompe di benzina vuote, le code chilometriche per un po’ di carburante, successivamente schizzato sopra i 2€ al litro. Un’isteria di massa che avrebbe condotto alla morte dell’informazione libera, schiacciata da una narrazione bellica sempre più semplificata.
L’obiettivo pertanto, da parte dei giornalisti, non era più illustrare i fatti storici ai lettori, ma assumere delle vere e proprie prese di posizione inequivocabili. Comprendere le ragioni dell’aggressore e dell’aggredito porta a maggiore chiarezza nell’ottica di una risoluzione negoziale. Negli studi televisivi le voci più controcorrente erano zittite, mentre i civili ucraini e russi erano massacrati in una guerra estenuante che non avrebbe, sul filo di quella strategia, condotto ad altro risultato se non un bagno di sangue. Mentre ai confini europei si consumava questa carneficina, sul suolo palestinese la striscia di Gaza rispondeva con attacchi terroristici molto intensi alle controrisposte israeliane del 7 ottobre. Mentre Gaza, roccaforte palestinese non ancora conquistata sino ad allora da Israele, aveva il controllo di Hamas, la Cisgiordania era controllata da Fatah, un partito più moderato entrato in conflitto con Hamas. Come se le morti dei civili non importassero, l’occidente zoppicava e l’Europa non negoziava, se non con l’appoggio atlantista incondizionato a Israele, e i paesi arabi musulmani che sostenevano Hamas e i movimenti di resistenza islamica.
In contemporanea i massimi esperti politici esibivano spillette e patenti anti russe, escludevano dai dibattiti culturali autorevoli autori letterari russi ed esponevano tesi contraddittorie, rendendo la narrazione di queste due guerre sempre più simile ad una partita di calcio. Per un anno e mezzo i giornali hanno riportato una tesi divenuta incontestabile:” Putin è malato, affannato, sconfitto. La Russia sta perdendo in territorio ucraino, e alla fine vinceremo” (nonostante l’evidente differenza militare tra i due paesi). Salvo poi, dopo mesi, affermare l’esatto opposto:”se non ci fosse la Nato e non avessimo fermato Putin, sarebbe già arrivato in Portogallo”. Quindi quale delle due è la versione più corretta? L’ipocrisia che trasforma le superpotenze in chiacchiere da colazione e semplifica i conflitti, schiaccia il libero dibattito e crea una vera e propria “cortina” di ferro tra le analisi storico politiche, basate su fatti storici, e le opinioni acchiappa click.