Dopo la tragica morte di Antonio, uno studente universitario nel tarantino che si è tolto la vita, la riflessione, oltre che ad una vita spezzata, va al rapporto giovani – istituzioni, al conflitto generazionale, a quelle cause che determinano profondi disagi nei giovani.Sempre più la vita scorre frenetica, al punto da considerare anomalo ciò che lentamente “fotografa” i momenti formativi e vitali dei ragazzi. Così la lezione scolastica ed universitaria, il ritrovo nelle biblioteche, i momenti perduti di condivisione umana, sono sovrastati dai ritmi frenetici della quotidianità. Crediamo che ritrovarsi in gruppo a discutere della vita e stoppare l’ingranaggio – sia pur per poco – della velocità sociale, sia una perdita di tempo. Se invece fosse tutto il resto ad aver oscurato queste piccole e importanti cose? Sarebbe un incredibile toccasana, e ce ne accorgiamo sempre dopo.
Non deve quindi essere la notizia della scomparsa di un giovane la sentinella per cominciare a cambiare le cose, perché è tardi. Come le metastasi, che una volta diffuse in maniera capillare, rappresentano uno degli ultimi stadi della malattia, in un corpo già distrutto. Allo stesso modo se un voto, un numero, una gratificazione, una lezione, divengono più importanti della salute mentale di chi frequenta i nostri ambienti, è il segnale di una malattia allo stadio terminale.
Nella cultura orientale emerge una scena che dovrebbe scuotere le nostra fondamenta: quando muore un paziente e dona gli organi, i medici tutti si avvicinano al letto e chinano il capo, in segno di profondo rispetto. Insegnamento, questo, che rivela la fragilità umana. Allo stesso modo dovrebbe crollare un incredible silenzio quando il prossimo scompare, poiché tutti in cuor nostro, nel comporre una società di assenti, ne siamo responsabili. Non è un raptus, né una decisione di impulso, quella di togliersi la vita. Non è una brutta notizia, né una causa particolarmente scatenante, a causarlo. Ma un accumulo, brutale, denso, asfissiante, di cause profonde che compongono il disagio di un ragazzo.
Un cappio di dolore, una nebbia fitta di sofferenza, dalla quale chi soffre non vede noi e noi non vediamo chi soffre. Finché non arriva il momento straziante: la notizia della tragedia, e quindi il punto di non ritorno. E allora ci chiediamo tutti chi, come, perché e quando. Una lista di domande esistenziali, quando proprio nel processo di accumulo delle concause che conducono al disastro forse correvamo troppo.
Alcuni esperti hanno illustrato la teoria di una società più debole, altri hanno attribuito la colpa del malessere dei giovani alle vicende esterne. Le teorie sono tante, ma i fatti sono incontestabili. Un aumento dei suicidi giovanili, sopratutto post pandemia, ha evidenziato una tendenza preoccupante che deve assolutamente essere invertita. La maggior parte delle 800.000 persone che muoiono ogni anno per suicidio – riporta Ansa – sono giovani, e il suicidio è la quarta causa principale di morte tra i giovani tra i 15 e i 19 anni, con 46.000 adolescenti suicidi ogni anno, più di uno ogni 11 minuti. Male anche a scuola, dove ogni anno sono circa 200 i giovani che si tolgono la vita: bullismo e fallimento scolastico sono le cause principali.
Mentre un servizio di Orizzontescuola.it ha mostrato dati allarmanti: dall’inizio della pandemia l’incremento dei tentati suicidi nella fascia giovanile segna un +40% solo all’ospedale Bambin Gesù di Roma, con un aumento – in Italia – del 75% dei casi. Secondo il World Health Organization, rappresenta la seconda causa di morte nei giovani tra i 10 e i 24 anni. Tra le maggiori cause, modelli familiari disfunzionali, eventi traumatici durante l’infanzia, difficoltà nell’interazione con gli altri, vulnerabilità emotiva, disturbi psichiatrici.
Le istituzioni, prime a dover fronteggiare la questione, devono lavorare ad una massiccia presenza di esperti nelle scuole, università, luoghi di lavoro. Abbattere lo stigma del supporto psicologico è il primo passo per una società più aperta, pronta ad aiutare il prossimo, rinnovata. Che la scomparsa di Antonio non sia dimenticata, e cominci a mettere in moto l’ingranaggio delle istituzioni e della società.