Le divergenze iniziali sul metodo tra Jung e Freud, i test Associativi verbali vs. associazioni Libere
Un nuovo campo di applicazione che attirò sempre più l’attenzione di Jung fu proprio quello della psicoanalisi; nel merito i test associativi furono individuati come possibile rimpiazzo del metodo delle associazioni libere, potendo rintracciare la carica emozionale o i complessi, per dirla alla Jung, in modo più veloce ed efficace. Questo particolare uso dei test associativi (che mette in evidenza sin dalle radici un pensiero divergente da quello Freudiano originale per cui le associazioni libere trovavano anche la loro ragion d’esistere nell’elusione dei meccanismi di difesa del paziente durante la terapia) fu oggetto di due scritti “Associazione, sogno e sintomo isterico” (1906) e “Psicoanalisi ed esperimento associativo” (1907). Ma sotto quale quadro generale Jung sviluppò i Test Associativi ? La sua attività al Burgholzli veniva a coincidere con l’introduzione della psicologia sperimentale nel campo della psichiatria; è utile rammentare che Krapelin, un assoluto pioniere per la classificazione nosologica delle patologie, fu studente di Wundt e da quest’ultimo ereditò l’approccio sperimentale; ai tempi la teoria fondamentale che vedeva la psiche come un enorme processo associativo tentava di scoprire quali fossero le leggi che regolassero la formazione delle associazioni e quindi dei processi psichici; a tale scopo venivano diretti un corposo numero di sperimentazioni secondo dei principi molto semplici: ad un soggetto veniva presentato uno stimolo, come una semplice parola alla quale si sarebbe dovuto rispondere con un’altra parola il più velocemente possibile. Il problema fondamentale di tutte le sperimentazioni effettuate consisteva nel fatto che non era assolutamente chiaro quale variabile misurare e cosa farne dei risultati riguardo la misurazione effettiva di un particolare o generale stato psichico. Così risultava anche difficile, all’interno della cornice teorica della teoria associazionistica, costruire un preciso e conciso strumento d’indagine, cosa con cui anche Jung si cimentò all’interno dell’opera “Il significato psicopatologico dell’esperimento associativo” (1906).
Dentro e fuori
Krepelin tentò da prima una distinzione tra associazioni mentali di tipo interiore ed esteriore, dove associazioni interiori potevano individuarsi in dicotomie quali:
attacco – difesa donna – ragazza vanga – attrezzi
Lo strato connettivo delle associazioni dicotomiche interne è strettamente legato al significato concettuale delle stesse parole, mentre quando il legame tra le parole viene espresso ad un livello più esteriore, Krepelin preferiva parlare di associazioni esteriori, ad esempio :
mondo – tondo banca – panca mela – tela
Si tento d’individuare delle norme, delle costanti nei processi associativi di varia specie, ma la ricerca fu vana, in quanto diversi soggetti associavano in maniera diversa e non costante gli stessi stimoli a risposte tra loro non comparabili. Krepelin tentò anche di cambiare lo stato di coscienza dei candidati ai suoi esperimenti tramite droghe e sostanze intossicanti che venivano considerate causa di diverse patologie mentali, oppure affaticandoli con esercizi fisici estenuanti, approdando ad una prima concreta scoperta per cui in questi particolari stati diminuivano le risposte associative interne a favore di quelle esterne e in particolar modo di quelle assonanti. Era chiara la constatazione che le capacità analitiche superiori venissero attenuate in stati mentali indotti da sostanze narcotiche o da condizioni fisiche debilitanti. Così, per logica inversa, Krepelin tentò di determinare quale fosse la correlazione tra un determinato tipo di associazione e una patologia psichica. Si tentò quindi di abbozzare un primo uso diagnostico dei test associativi. Sulla base dei lavori di Krepelin, nel 1901 presso il Burghölzli, Bleuler compose una lista di 156 parole che utilizzò su numerosi pazienti affetti da diverse patologie mentali. Jung di concerto con Riklin fu in seguito incaricato da Bleuler di proseguire i suoi esperimenti con soggetti sani per poter determinare dei criteri nosologici. I risultati di questa ricerca furono pubblicati nel 1904 con il titolo di “Ricerche sperimentali sulle associazioni di individui normali”
400 parole ….. alterate.
Nell’esperimento furono utilizzati quattrocento stimoli/parole suddivisi in quattro serie, somministrati a trentotto soggetti . Nelle prime due serie somministrate ai soggetti veniva chiesto di rispondere con la prima parola che si presentava allo stato cosciente, mentre nelle ultime due serie, seguendo l’esempio di Kraepelin, fu alterato lo stato psichico dei soggetti per verificare quando si presentasse un reale cambiamento nella modalità di risposta. Il dato interessante di questa nuova sperimentazione consta nella modalità di ottenimento dello stato di coscienza alterato, non ricorrendo a sostanze narcotiche ma inducendo uno stato di attenzione attenuata tramite stimoli distrattori. In modo particolare, nella terza serie somministrata fu utilizzato il principio di distrazione per causa interiore, chiedendo ai soggetti di prestare attenzione alle immagini che si creavano nella loro mente appena terminato l’ascolto della parola stimolo. Nella quarta serie, si utilizzò un principio distrattore per causa esterna, per cui ai soggetti veniva richiesto di tracciare delle linee su di un foglio di carta al ritmo di un metronomo. Questa ricerca portò alla conclusione che il numero di associazioni esteriori e assonanti incrementavano in modo proporzionale nelle serie somministrate dove i soggetti erano costretti a dividere la loro attenzione.
L’attenzione al timone
In seguito Jung cercò di dimostrare come l’attenzione sia una specifica capacità umana che può essere influenzata da taluni fattori organici, così come anche Wundt aveva precedentemente ipotizzato. Jung ipotizzò però due nuove variabili, l’Affettività e i Complessi come modulatori dell’attenzione. L’attenzione fu individuata come timoniere del processo associativo; di tutte le possibili associazioni che possono presentarsi in corrispondenza di uno stimolo, la maggior parte sembrano essere eliminate sin dall’inizio, quindi l’attenzione può considerarsi come quella funzione che limita il processo associativo; non appena si attenua o scompare, si presenta il caos di tutte le possibili associazioni. Bleuler apprezzò enormemente il lavoro di Jung, sulla base del quale fece ulteriori elaborazioni arrivando alla conclusione che esiste un complesso dell’ego che “così come ogni altro stimolo cerebrale, può influenzare i riflessi più bassi e può contenere il processo associativo entro taluni limiti”, gli rimaneva però oscuro il meccanismo con cui questo processo si attualizzava.
Complesso emozionalmente caricato
Cionostante nel suo testo “Affettività, Suggestionabilità, Paranoia” (1906) Bleuler dedicò un intero capitolo alla descrizione dell’affettività come il dinamismo di base dell’attività psichica. Nel capitolo è ben delineata l’attenzione come una delle componenti più importanti attraverso cui l’affettività esprime se stessa. Questo lavoro di Bleuler fu di non poco impatto nelle successive pratiche di Jung,
mentre per lui rimase in qualche modo un concetto accademico. Durante lo svolgimento di questo lavoro, Jung giunse alla prima formale definizione di complesso, individuando il “complesso emozionalmente caricato” , ne troviamo traccia nello scritto “Ricerche sperimentali sulle associazioni di individui normali”, e nel coevo “I tempi di reazione nell’esperimento associativo”, anche se la più accurata ed elaborata definizione è rintracciabile nel secondo capitolo di “Psicologia della Dementia Praecox”. Qui il complesso dell’ego viene evidenziato come il principale complesso della psiche, in quanto costituente la personalità dell’individuo; in effetti l’intero processo delle associazioni appare da prima costruito e strutturato dal complesso egoico in connessione con gruppi di rappresentazioni che stabiliscono il carattere conscio dei processi di pensiero. Ma in seconda istanza a Jung apparve palese come altri gruppi di rappresentazioni e complessi potessero interferire con i processi associativi alle stessa stregua del complesso egoico; un tale tipo d’interferenza può avvenire al di sotto del livello di consapevolezza agendo come un “secondo conscio” o come Jung stesso lo definisce nel testo “I tempi di reazione nell’esperimento associativo”, una costellazione di rappresentazioni che costituisce un complesso che si comporta come una sorta di entità indipendente. Ciò che viene rilevato come disturbo nello svolgimento dei test associativi, è l’effetto della competizione tra questi complessi, manifestandosi come prolungamento dei tempi di reazione, oblio della parola stimolo, riproduzione inesatta dello stimolo o nel caso di utilizzo di rilevatore elettropsicometrico GSR come un aumento dell’impedenza nella conduttività elettrica della pelle. In genere alla fine della somministrazione dei Test Associativi, i soggetti sperimentali tendevano a non ricordare con quale parola avevano risposto alla parola stimolo. Jung a riguardo operava una distinzione per cui determinava che l’autonomia del complesso interferente veniva definita dal fatto che assorbisse parte dell’attenzione della persona, espandendo il suo campo d’esistenza a scapito del complesso egoico, che perdeva la sua capacità di reprimere le più basse categorie di associazione; fenomeno a parere di Jung dimostrato dal prolungamento dei tempi di reazione. Riguardo invece il conflitto generato dai contenuti del complesso interferente rispetto a quelli del complesso egoico, Jung notava che la parola stimolo veniva immediatamente dimenticata, desumendo che il complesso interferente neutralizzasse i comportamenti di quello egoico. Si delineavano quindi essenzialmente due aspetti: da una parte le notabili dissociazioni tra i complessi, dall’altra un conflitto che per essere posto in essere deve prevedere una relazione tra i complessi stessi. Tali osservazioni non possono che ricondurre alle teorie di Freud sulla repressione; ma nell’analizzare il conflitto tra i complessi individuati, contrariamente a Freud, Jung non pone l’accento sul carattere inconscio dei complessi stessi, ma sulla carica emozionale che in qualche modo costituisce il loro legante, ponendoli quindi anche in essere.
Inconscio o carica emozionale?
Per Jung il fatto che taluni complessi fossero inconsci, rivestiva un ruolo del tutto secondario. L’aspetto inconscio appariva derivare dall’effetto dissociativo che l’affetto può esercitare sulla psiche; un gruppo di rappresentazioni altamente carica di tono mozionale diventano tra loro strettamente interconnesse tanto che tendono da agire come un’entità autonoma senza alcuna apparente relazione col complesso egoico. Il fatto che il tutto non avvenga consciamente riguardo l’esistenza del particolare complesso e dei suoi agiti psichici non cambia nulla nel modo in cui il complesso opera all’interno della psiche. Questo tipo di considerazione è già sin dall’inizio un’incrinatura nelle fondamenta delle teorie Freudiane da parte di Jung, una sorta di postulato base che può essere considerato uno dei semi che porterà in seguito a germogliare quell’intricata vegetazione di pareri, teorie, conferenze, lettere e divergenze che si concluderanno in una rottura, probabilmente insanabile, a livello personale così come teorico tra Freud e Jung. Qui Jung supera, forse non rendendosene conto, uno degli elementi essenziali delle scoperte Freudiane, quello della repressione. Per farlo si riconduce anche ad altri sue maestri come Ziehen e le sue “costellazioni” di rappresentazioni e complessi , non tralasciando anche la sua eredità Janetiana e Bleuleriana.
Non c’era posto sin dall’inizio
Ricordando il lavoro sulla “Psicologia e la Patologia dei Fenomeni Occulti” dove, seguendo Janet, Jung indicava che la dissociazione fosse la caratteristica essenziale dell’isteria, possiamo trovare un punto d’innesto e d’integrazione della teoria del complesso, per i contenuti dissociati visti come complessi autonomi. In questo senso i test associativi, nella loro natura evocativa delle
interferenze dei complessi autonomi, sembrano essere un mezzo ottimale per rintracciare quei contenuti di cui la persona non può o non vuole avere consapevolezza cosciente. Jung pare in qualche modo ricercare una connessione con le teorie del nuovo maestro Freud, avvalendosi dei suoi scritti nella ricerca delle rappresentazioni inconsce dei suoi pazienti isterici. Freud scoprì essenzialmente che tali rappresentazioni erano strettamente correlate con eventi ed oggetti di natura sgradevole o orribile, spesso di carattere sessuale. Freud ideò e sperimento il metodo delle libere associazioni proprio per rintracciare questi contenuti repressi. Appare forse palese a questo punto che i test associativi si propongono come un sostituto forse più veloce ed efficace delle libere associazioni ? E’ anche vero che proprio qui Jung trova una delle prime connessioni con la teoria della Psicoanalisi pur rimanendo evidente che in definitiva, a prescindere da ciò che furono le evoluzioni del pensiero Junghiano, sin dall’inizio non v’era posto nella sua teoria dei Complessi per una nozione come quella della repressione.
continua ………
Dott. Egidio Francesco Cipriano
Psicologo Informatico
Foto di Gerd Altmann da Pixabay
Bibliografia
- JUNG C.G., “I tempi di reazione nell’esperimento associativo”, in Opere, Bollati
Boringhieri, Torino 1987 - JUNG C.G., Simulazione di malattia mentale, Boringhieri ed., 1978.
- FREUD S., Neuropsicosi della difesa, in Progetto di una psicologia e altri scritti 1892-1899,
Torino, Bollati Boringhieri, 2002 - FREUD S., Interpretazione dei Sogni Edizione Integrale, Bollati Boringhieri, 2011
- P. JANET, L’automatisme psychologique (1889). L’Harmattan, Parigi, 2005.
- DOMHOFF , G. W. (2000), Similarities and Differences Between Freud and Jung