Resistiamo al cambiamento ?
Siamo oramai in pieno ventunesimo secolo, e gran parte degli avvicendamenti sociali e tecnologici teorizzati da numerosi studiosi non si sono realizzati, mentre si vedono tratti dipinti da romanzieri di fantascienza distopica che di accademico avevano ben poco, tranne che i postumi riconoscimenti.
Massificazione e identità
Uno dei problemi endemici nel nuovo secolo, oltre che quello ambientale, è la massificazione dell’identità; folle anonime che bruciano velocemente ogni tipo di novità nella vita quotidiana. Si sta palesando una vera e propria angoscia dell’essere, un nuovo sentirsi soli e isolati da un mondo minaccioso che finisce per complottare fantasticamente contro la nostra stessa sopravvivenza. Nasce un’inquietudine profonda di trovarci in nuovi contesti che cambiano velocemente, che ci porta spesso ad ignorarli e subirli nel tentativo di fermare il cambiamento. Nell’ultimo secolo è stato necessario integrare nel quotidiano la televisione, i viaggi spaziali, l’informatica, internet, gli smartphone, l’euro e il virtuale annullamento delle distanze, tutto in meno di un paio di generazioni. Come linea di demarcazione si può tranquillamente prendere come riferimento la seconda guerra mondiale.
Vecchie strutture psicologiche e sociali
Il cambiamento ci ha travolti, senza avere a disposizione delle nuove strutture comportamentali, abbiamo così impostato vecchie condotte anteguerra adattandole alla meno peggio al veloce dipanarsi del nuovo. Questo ci ha fatto ammalare come singoli e come società, mai come ore si parla sempre più spesso di ansia, angoscia , paura e burn out. Le malattie mentali si sono ampiamente diffuse, difatti pur essendo a poca distanza dall’ultimo storico conflitto mondiale, non abbiamo ancora sostanziato un nuovo modo di comportarci che sia pro sopravvivenza e ci sentiamo spesso superati da ciò che avviene. Così la malattia mentale singola e collettiva si manifesta spesso dal seme della resistenza al cambiamento e nel suo oscuramento interiore.
Improvvisare, una soluzione ?
Senza una guida illuminata dall ’alto, un profeta che porti la parola di un Dio invisibile che ci deresponsabilizzi delle nostre scelte, è necessario sviluppare o riscoprire l’abilità all’ improvvisazione, come alcuni bravi teatranti sanno da sempre. Un improvvisazione non di maniera ma di sostanza. Bisogna riscoprire la spontaneità umana come fondamentale consapevolezza di poter far fronte all’ ignoto mettendo in conto la possibilità di soccombere; solo così non si soccombe mai realmente. In questa vita abbiamo una sola certezza, quella che un giorno finirà. Risulta quindi utile trovare soluzioni e spunti spontanei che potranno poi essere analizzati ma non permanente strutturati, per renderla potenzialmente “felice” in un gioco senza perdenti. La spontaneità non è però manifestare nell’immediato qualsiasi cosa ma fare la cosa opportuna al momento giusto, creare una nuova risposta a una situazione inconsueta, che sia efficace autentica e risolutiva. Questo agire, per essere funzionale al nuovo, non può dimenticare il vecchio, e seppure si basi sullo slancio deve prevedere un’acquisizione culturale che permetta una creAzione liberamente espressa di se e dell’altro verso una nuova risposta adeguata a ciò che è e non ciò che era.
La sanità mentale
E’ allora necessario innovare le menti e il sentire, destrutturando le sovrastrutture funzionali alla tradizione ma non più applicabili , riconoscendole e comprendendole per quello che sono, senza la necessità di abbatterle in un gioco che ci vede perdenti, ma ricreandole fluide in spontaneità funzionale con un profondo ma non pesante senso di responsabilità singola come di comunità.
La chiave di volta è una nuova sanità mentale che non prenda lo spunto dall’adattamento all’ambiente ma nella sua co creazione responsabile.
dr. Egidio Francesco Cipriano
Psicologo
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