Il 23 maggio 1992, alle 17:57, il magistrato antimafia venne ucciso a Capaci. L’attentato costò la vita anche alla moglie Francesca Morvillo e a tre agenti della scorta.
Ci sono delle date che appartengono alla memoria collettiva di una famiglia, a volte di una comunità o di una nazione intera. Sono le date che celebrano occasioni speciali, a volte allegre, talvolta tristi. Se compleanni e anniversari di matrimonio, infatti, restano significativi all’interno della propria casa, altre ricorrenze travalicano i confini familiari e, per la portata dell’evento che ricordano, diventano patrimonio di memoria per una intera nazione. È il caso del 23 maggio, data in cui tutta Italia ricorda la morte del magistrato Giovanni Falcone, ucciso dalla mafia nel terribile attentato del 1992, insieme alla moglie e a tre degli agenti della sua scorta.
Chi era Giovanni Falcone
Giovanni Falcone era un magistrato, nato a Palermo, aveva compiuto da qualche giorno 53 anni quando fu ammazzato. Eccellente negli studi, appassionato di diritto, univa alla grande competenza in materia di leggi e norme, la passione per il proprio lavoro e, soprattutto, una intelligenza investigativa vivace e fuori dal comune. Sin dall’inizio, il suo lavoro di indagine sulle cosche mafiose si basò sull’intuizione che fosse necessario ricostruire i movimenti del denaro per comprendere organizzazione e portata delle attività criminose (è il metodo “follow the money”, copiato poi anche dalla FBI e dalle altre agenzie investigative in tutto il mondo). Falcone fu il primo a intuire che la mafia non è, come si credeva allora, un gruppo di bande separate tra loro con autonoma capacità decisionale bensì una organizzazione unica con struttura verticistica.
Fece parte del “pool antimafia”, guidato da Antonino Caponnetto. Grazie a un minuzioso lavoro investigativo non solo sul territorio ma anche attraverso indagini finanziarie all’estero e il riscontro puntuale delle dichiarazioni dei pentiti, tra i quali Tommaso Buscetta, Falcone, insieme a Paolo Borsellino, per motivi di sicurezza isolati nel carcere dell’Asinara, istruì l’impianto accusatorio del “maxi-processo” a Cosa Nostra. Celebrato nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone tra il 1986 e il 1987, portò a condanne per 19 ergastoli e 2665 anni di carcere a 339 imputati, confermando in toto le teorie accusatorie di Falcone e del pool.
Nonostante questo grande successo, negli anni successivi, il pool antimafia fu praticamente smantellato, mentre Falcone fu isolato e vittima di una campagna di delegittimazione, per mezzo di alcune lettere diffamatorie e di un fallito attentato mentre era nella sua villa dell’Addaura. Continuò a lavorare alla Procura di Palermo in un clima ormai avvelenato, finché nel novembre 1991 non fu chiamato da Claudio Martelli, allora Ministro di Grazia e Giustizia, al ministero come Direttore degli Affari Penali.
La sua esperienza fu dirimente per costituire la Direzione Nazionale Antimafia, la cui direzione però non fu affidata a lui nonostante fosse per vissuto e indole il migliore candidato possibile. Falcone contribuì col suo lavoro a consolidare norme e leggi a tutela dei pentiti, indispensabili per comprendere la mafia e ricostruire i fatti in maniera corretta, e per introdurre le norme del carcere duro per i mafiosi, il cosiddetto 41 bis, che evitava il collegamento tra i mafiosi in carcere e l’esterno. Queste sue lucide norme, insieme alla conferma in Cassazione di tutte le condanne del maxi-processo e al probabile tradimento da parte di qualche servitore dello stato infedele, furono la sua definitiva condanna a morte.
Capaci, 23 maggio 1992 – la strage

Giovanni Falcone morì il 23 maggio 1992. Alle 17:57, sull’autostrada che dall’aeroporto di Punta Raisi porta alla città di Palermo, nei pressi di Capaci, 500 kg di tritolo squarciarono l’asfalto e investirono il corteo delle tre auto blindate su cui viaggiava il giudice e la sua scorta. Nell’attentato morirono, oltre a Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, tutti e tre pugliesi, Vito Schifani (da Ostuni, Brindisi), Rocco Dicillo (da Triggiano, Bari) e Antonio Montinaro (da Calimera, Lecce).
L’attentato, eseguito materialmente da Giovanni Brusca, era stato ordinato da Totò Riina e dai capi di Cosa Nostra: nel carcere palermitano dell’Ucciardone i mafiosi esultarono, mentre tutta Italia rimase attonita di fronte alla notizia. Il 25 maggio, ai funerali del magistrato e delle altre vittime della strage, una folla enorme di cittadini palermitani si assiepò fuori dalla chiesa per rendergli omaggio. In quell’occasione furono contestati i politici, accusati di aver abbandonato Falcone privandolo del necessario supporto e delle giuste misure di protezione. Ilda Boccassini disse “Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali”, mentre Rosaria Schifani, vedova dell’agente della scorta Vito, pronunciò un emozionante appello per la giustizia.
L’eredità di Giovanni Falcone

Alla morte di Giovanni Falcone, la sua eredità fu raccolta dall’amico collega Paolo Borsellino, egli stesso vittima della mafia, insieme agli agenti della sua scorta, nel terribile attentato di via D’Amelio di pochi mesi dopo. Ma l’eredità morale dei due magistrati non è andata perduta. Entrambi sono diventati simbolo di lotta alla mafia per la legalità.
Falcone scrisse “La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”. Ed è proprio questa sua fiducia nelle istituzioni e nelle leggi che lo hanno reso per sempre immortale. E proprio per questo la data della sua morte è stata scelta per celebrare “la giornata della legalità”.
Giovanni Falcone, eroe italiano
Giovanni Falcone è un eroe italiano, un uomo che ha dimostrato con la propria vita, prima che con la morte, come essere servitori leali del proprio Paese. Falcone mise le sue straordinarie capacità investigative e la sua competenza in campo giuridico al servizio dello Stato, combattendo una organizzazione che sembrava invincibile. Prima di lui, nessuno aveva compreso come fosse organizzata la Cupola mafiosa, quale fosse la sua portata, a che livello arrivasse la connivenza tra il potere mafioso e quello politico e finanziario. Consapevole della pericolosità del suo lavoro – visse sotto scorta gran parte della sua vita – non si rifiutò di compiere il suo dovere fino in fondo. Scrisse che “L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza.”
Falcone è idealmente figlio di chi prima di lui ha contrastato le organizzazioni criminali e padre di chi ha continuato e continua la sua opera. Ma è anche un faro per la crescita morale e civile di tutti noi, a partire dai più giovani. Il suo nome è sì sinonimo di sacrificio, ma anche di speranza. Perché, come disse lui stesso, “gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.”
23 maggio 2020 – la giornata della legalità
Il messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella
Francesca Perrone
Per approndire la storia di Giovanni Falcone:
Fondazione Falcone (clicca qui)
Giovanni Falcone, “Cose di Cosa Nostra” (1991)
Marco Bellocchio, “Il traditore” (film, 2019)
RaiStoria, “Il tempo e la storia – Il maxi processo” (disponibile qui)
Atti del processo sulla strage di Capaci (clicca qui)
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