Il potere terapeutico del teatro è una delle sue caratteristiche più sorprendenti ma trascurate. La forma d’arte del niente e dell’effimero per eccellenza, dell’emozione e della rappresentazione che modella il fumo davanti agli occhi dello spettatore così come nel cuore dell’attore, tende ad attirare i cuori infranti, gli spiriti vaghi oltre la cultura e coloro che desiderano sfuggire dalle lotte della propria vita. Come pubblico, ci viene offerto un vero e proprio servizio di trasporto verso un nuovo tempo e luogo per testimoniare la vita di personaggi immaginari e ascoltare le loro storie. Ci è concesso di assistere all’amore manifesto tra un uomo e una donna affranti tra le stelle e di liberarci emotivamente quando si tolgono la vita in nome del vero amore; il tutto senza il peso di ciò che è accaduto nella nostra vita prima del sipario. Il teatro ha le stesse capacità curative delle storie che mia madre mi leggeva ai piedi del piccolo lettino e che costellavano i miei sogni, mai sopiti, di bambino. Non è necessario essere un ballerino, un attore, un regista, uno scenografo o qualsiasi altro artista del teatro per condividere questa profonda esperienza di guarigione; è sufficiente presentarsi nel suo spazio sacro con l’onestà dell’anima, anche nella finzione di un copione, poiché questo racconta una delle tante storie che ci appartengono, che sono scritte profondamente nel campo del nostro comune inconscio collettivo. Essere veritieri, seppur con l’artifizio del palcoscenico, è la chiave di un attore che guarisce diversamente da uno che si ammala e fa ammalare; la verità dell’anima distingue uno che dona e riceve da qualcuno che solo trattiene e si solleva sugli applausi del pubblico di cui invece è servo.
L’attore guarisce con il suo pubblico
Gli attori guariscono insieme ad ogni singolo spettatore, per poco o per sempre, in un cammino sul sentiero del se transpersonale. Come attori, un pò prima dell’arrivo del pubblico, le preoccupazioni del mondo cessano di affliggere, non contano più, si diventa nuovamente se stessi, ci si catapulta in una dimensione diversa, apparentemente finta, che frattura il ciclo continuo e reiterato della quotidianità, ci viene data l’opportunità di essere qualcun altro, di vivere una nuova vita e di raccontare storie a persone che cercano questo stesso conforto
Il permesso dello spettatore
Ogni uomo, donna e bambino che si mette al cospetto del palco concede un permesso, un dono enorme ai singoli attori così come all’intera compagnia: quello di tirare le corde del cuore e della mente, di giocare con l’energia creatrice, la sessualità, l’ironia e la beffa di se, per migliorare anche di poco una piccola parte di una giornata giocando a “fare finta” che sia. Quanto è bello ricevere questo dono? È incredibile che venga data la possibilità di sospendere l’incredulità di chi guarda, ascolta, annusa e partecipa con un sol respiro unito a quello di chi recita. Pur anche con lo stesso copione, alla millesima replica, un attore “onesto” sceglie di diventare una nuova persona, vivere una nuova vita e lasciare indietro il vecchio. Per metafora offre la stessa possibilità ad ogni membro del pubblico che seppure alla sua millesima replica di vita quotidiana, ritrova l’opportunità di rinnovarla in nuove scelte, foss’anche quella di viverla così com’è.
Maestri di bugie ? Solo quelle vere.
Nella mia breve vita da psicologo e da psico teatrante, ho avuto l’occasione di osservare diversi maestri, attori e guitti dell’anima, due sono emblematici. Alejandro Jodorowsky con il suo magico psicoteatro, i sui tarocchi specchio di ciò che è, la sua indomita voglia di mettersi al servizio, di curare se e le sue radici con l’aiuto insostituibile del pubblico che guarisce con lui. C’è poi un onorato “compaesano” di nome Mimmo Fornaro, che senza mille definizioni, pur forse non sapendolo, è un “onesto” teatrante disposto a dare e prendere le storie di dentro, per viverle con il suo pubblico, accettando e riscattando il retaggio della sua famiglia e della città che lo ha visto nascere; uno che il “profumo di nuovo” ce l’ha nell’anima, perché accetta l’eredità di ciò che è stato, proiettandosi nel futuro come un malinconico “mangiafuoco” che vede il tempo che passa; uno che non si spaventa di Pinocchio, perché lui le bugie le conosce, ma ama dire solo quelle vere. Mimmo che crede di essere “solo” un teatrante è invece un raffinato cultore dei dettagli dell’anima, della mente, del respiro. Mimmo che come Alejandro ha curato se è la sua famiglia sul palco, rivivendo suo padre, sua madre e i suoi fratelli, dando dignità universale alla storia da cui proviene. C’è una profonda simmetria tra il suo lavoro in “Profumo di nuovo“, che i sedili della prima rampante auto di famiglia emanava e la “Danza de la realidad” di Alejandro dove a riscatto di una vita sacrificata del padre e della sua famiglia, rinnova il senso della realtà attraverso suo figlio Brontis, mostrando come tutto quadra, e s’incastra al di là del della sofferenza e del piacere. Mimmo così come Alejandro, scava con diverso registro, nel nocciolo ancestrale dell’umanità, curandolo semplicemente con un sol respiro.
Mi onoro, in diverso modo, di essere allievo di entrambi questi maestri.
Compagnia Teatrale il Laboratorio di Mimmo Fornaro
Dr. Egidio Francesco Cipriano
Psicologo
Foto Pixabay.com e Mimmo Fornaro
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