L’infanzia e l’appuntamento con l’Inconscio
La predilezione di Carl adulto per la solitudine, i suoi studi alchemici e le sue ricerche sulle dinamiche della trasformazione psichica, sono prefigurabili anche in una fantasia della sua adolescenza, in cui si rifugiava tutti i giorni durante il tragitto dalla canonica alla sua scuola a Basilea. Era la visione di un mondo ideale in cui tutto sarebbe stato migliore di ciò che era in realtà. Non ci sarebbe stata nessuna scuola e la vita poteva essere esattamente come lui la desiderava: in un castello che dominava una città medievale, governata da un concilio di anziani. Da notare che la tendenza a fantasticare di una cittadella in cui rifugiarsi è tipica dei soggetti schizoidi (come del resto la propensione all’isolamento). Il castello che Carl aveva immaginato era difeso da alte e robuste mura e separato dalla terraferma da un piccolo istmo: trascorreva ore a immaginare le inespugnabili fortificazioni. Anche tramite questa fantasia il giovane Carl faceva esperienza di se stesso come costituito da due personalità, che chiamava “Numero I” e “Numero II”.
Da I a II e viceversa
Il Numero I era i figlio dei suoi genitori, che andava a scuola e affrontava la vita come meglio poteva, mentre il Numero II era molto più anziano, lontano dalla società umana, ma vicino alla natura, agli animali, ai sogni e a Dio. Vedeva quest’ultimo come
"privo di un carattere definito, nato, vivente, morto, tutto in uno, una visione totale della vita”.
Una volta psichiatra si rese conto che queste due personalità non erano solo una sua caratteristica, ma erano presenti in tutti, anche se lui ne era particolarmente consapevole, soprattutto della Numero II. Più tardi le rinominerà Ego e Sé, giungendo alla conclusione che le mosse e contro-mosse tra di loro costituiscono la dinamica centrale dello sviluppo della personalità. Riteneva che la sua personalità Numero II gli conferisse un privilegio negato al suo sfortunato padre: l’accesso diretto alla mente di Dio, cosa che gli era confermata anche dalla natura rivelatrice dei suoi sogni: contenevano immagini (ad esempio di una divinità sotterranea dall’aspetto fallico) che riteneva derivassero da una fonte che andava al di là di se stesso, e da una visione potente, a cui tentava con tutte le sue forze di resistere: quella dell’Onnipotente seduto su un trono dorato che defecava sul tetto della Cattedrale di Basilea. Queste rivelazioni lo resero intollerante alla perplessità spirituale di suo padre, causando anche accese discussioni tra loro. Ogni volta che Carl tirava in ballo questioni religiose, il padre diventava irritabile e si metteva sulla difensiva: “Vuoi sempre pensare!” gli diceva. “Le persone non devono pensare, ma credere!” E Carl dentro di sé pensava: “No, le persone devono fare esperienza e sapere!”, ma a voce alta diceva: “E allora dov’è la tua fede?” e a questo punto il padre si stringeva nelle spalle e se ne andava. Tra loro si aprì come un abisso incolmabile. Carl capiva il dramma del padre, che riguardava allo stesso tempo la sua professione e la sua vita; vedeva come fosse intrappolato dalla Chiesa e dall’insegnamento religioso e si trovava a sua volta tagliato fuori dalla Chiesa, dal padre e anche dagli altri, che avevano fede. Altri ragazzi si sarebbero rivolti ai propri coetanei per avere supporto, ma Carl non aveva amici, quindi si rifugiò ancora di più in se stesso, verso la sua personalità Numero II, il Sé. Nella sua adolescenza aveva sperimentato il Sé come una sorta di dio, e la
forza del suo impegno nei confronti di questo “altro” interiore ebbe la prevalenza su tutte le relazioni esterne. Non sentiva di stare tra le persone, ma da solo con Dio. Inevitabilmente questo rafforzò il suo isolamento:
"Le altre persone sembravano avere preoccupazioni totalmente diverse. Io mi sentivo completamente solo con le mie certezze. Avrei voluto qualcuno con cui parlare più di ogni altra cosa, ma non trovavo un punto di contatto da nessuna parte…Perché nessuno aveva esperienze simili alle mie? Mi chiedevo, perché devo essere il solo?"
Arrendersi al destino
A un certo punto la resa ? Sentì suo padre rivelare a un conoscente le sue preoccupazioni per il futuro del figlio: qualcosa cambiò immediatamente, come se I & II fossero saldamente interconnesse, tornò a scuola e si applicò agli studi. Mancando completamente di comunicazione con persone similmente dotate, si rivolse alla letteratura, alla filosofia e alla storia della religione. Il seme del futuro Jung aveva scelto il suo stesso terreno per poter essere fedele a un destino che avrebbe coinvolto più di una persona e il futuro di quello che sarebbe stata la psicologia analitica fino al rosso di una una diversa esistenza.
Dott. Egidio Francesco Cipriano
Psicologo Informatico
Foto di Bianca Mentil da Pixabay
Bibliografia
- JUNG C.G., L’io e l’inconscio, Boringhieri ed., 1973
- RINALDI B, Vis à vis con Carl Gustav Jung, Giornale Storico del Centro Studi
Psicologia e Letteratura, 12, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2011. - HANNAH, BARBARA. Jung, his life and work: A biographical memoir. New York:
Putnam, 1976 - Devescovi P.C., Il giovane Jung e il periodo universitario. Documenti inediti della
Zofingia, Moretti & Vitali, Bergamo, 2000.