Quando giocare diventa un problema
“Dottore, mio figlio è praticamente incollato perennemente ai videogiochi e il fratello più piccolo non fa che imitarlo;; appena se ne manifesta l’occasione corre alla consolle, poi durante la DAD (Didattica a Distanza) ha sempre un’altra finestra aperta sul computer con qualche giochino. Pranza veloce e poi tela in camera sua o nel soggiorno a giocare, e quando è ora di andare a dormire, lo trovo con la testa nello smartphone e poi protesta senza sosta. E’ dipendente ? Come devo fare ?”
Ora più di prima
I Video game, ora più di prima, occupano gran parte della vita dei bambini e degli adolescenti, debordando in parte in quella degli adulti. Nasce così la preoccupazione per l’isolamento dei nostri ragazzi, già forzato dalle misure anti Covid, e per il tempo sottratto ad altre attività come quelle di studio, di cura e sviluppo del corpo, e di reale cooperazione familiare e tra amici in carne e ossa.
In effetti il Game Disorder è stato riconosciuto dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) come una dipendenza alquanto simile (ma assolutamente non uguale) a quella per il gioco di azzardo. Il 25 maggio 2019, ben prima dei forzati isolamenti da lock down, questo disturbo è stato incluso nella Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD International Classification of Diseases)
Dipendenza ?
Per sospettare la presenza di un disturbo come la dipendenza, al di là delle ansie, dobbiamo osservare nei nostri ragazzi alcuni comportamenti:
- Pre-occupazione costante per i video game: il giovane pensa quasi esclusivamente a giocare o non vede l’ora di farlo, al punto che diventa l’attività dominante nella vita quotidiana.
- Manifestazione di sintomi di astinenza: quando viene portata via la consolle o gli viene vietato giocare, il teen-ager diventa irritabile, triste o ansioso a volte si rivolge violentemente.
- Tolleranza alla dose: si sviluppa la necessità di dedicare una maggiore quantità di tempo a giocare, si tende ad alzare sempre di più la dose di gioco necessaria.
- Perdita di controllo: quando si prova a non pensare al gioco non lo si è più capaci
- Uso continuato: nonostante la comprensione e la consapevolezza che il continuo giocare o il pensarci crei problemi nel resto della vita non si riesce a smettere.
- Ingannare gli altri (familiari, insegnanti, psicologi o altri) sulla quantità di tempo dedicata ai giochi
- Uso come fuga: gioca per alleviare uno stato d’animo negativo
- Interessi ridotti: perdita di interessi in hobby precedenti o altre forme di intrattenimento
Se almeno cinque di questi comportamenti si manifestano in modo continuativo è bene allertarsi e prendere rifugio nella consulenza di qualche esperto della salute mentale che abbia però esperienza specifica. E’ bene in ogni caso sapere che seppure questo disturbo appare come dipendenza non se ne ha la completa certezza e taluni esperimenti sul campo hanno mostrato risultati contraddittori.
E’ sempre così ?
Può succede che dedicarsi ai videogames, specie in questo periodo d’isolamento diventi una fuga dallo stress. Potrebbe trattarsi di un serio interesse; un tempo ci si appassionava di letture su temi specifici e si divoravano libri, o ci si ostinava per ore ed ore con gli esercizi alla chitarra o alla batteria trascurando le altre attività. E se video-giocare fosse diventata un attività per mantenere i rapporti con i coetanei? Se nostro figlio fosse ossessionato dalla matematica, dalla scherma, dagli scacchi …. con uguali sospetti comportamenti tra quelli elencati, ci preoccuperemmo ? Ne saremmo felici ?
Genitori …leggete qui
Se nostro figlio gioca in un modo che interferisce con le normali aree sociali e scolastiche, potrebbe essere un sintomo di un altro problema e non necessariamente dipendenza, potrebbe soffrire di depressione, ansia, ADHD (disturbo da deficit di attenzione iperattività), un disturbo dell’apprendimento, PTSD (Disturbo Post Traumatico da Stress), essere vittima di bullismo o altro ancora.
Dedichiamo del tempo ai nostri figli, iniziamo una conversazione, senza grandi aspettative. Mostriamo interesse per i giochi a cui stanno giocando; cosa li rende così divertenti? A che livello sono arrivati? Quali difficoltà hanno dovuto affrontare? Come le hanno risolte? Mai farlo sembrare un’interrogatorio, e se ci danno del Nabbo … avviciniamoci comunque a questa realtà. Sarebbe meglio avere l’interesse e non solo mostrarlo, riconoscendo i nostri limiti e guardando a questa relazione con i figli e con i videogame come un’ulteriore occasione di crescita.
“Giocare con i nostri figli“, se non è divertente, forse il problema lo abbiamo anche noi. La maggior parte dei genitori non ha mai giocato con gli attuali videogames insieme ai propri figli né li ha mai visti veramente giocare. Pochi conoscono il contenuto, le abilità necessarie o gli obiettivi dei giochi. Questo aumenterà la vicinanza, e la realtà condivisa; si avranno migliori conversazioni su argomenti ora comuni che porteranno ad un più alto grado di reciproca comprensione.
Dott. Egidio Francesco Cipriano
Psicologo-Informatico
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