Bullismo, cyberbullismo, diffamazione a mezzo social network: le vittime
Se per un adulto una presa in giro online, per quanto reiterata e fastidiosa, è considerata una cosa da poco,per un adolescente può risultare devastante. I ragazzi non hanno quel senso di provvisorietà che fa capire che un problema, per quanto doloroso, prima o poi si risolverà: per loro il “qui e ora” rappresenta il “sempre” e quando vivono un momento drammatico, tendono a pensare che non finirà mai: spesso quindi, preferiscono darsi la morte piuttosto che continuare a soffrire. E non sempre questo problema affligge i giovanissimi: a volte anche gli adulti, se non vedono alcuna via di uscita da vergogna e umiliazione, ritengono che non valga più la pena continuare a vivere.
Ryan Halligan 1989-2003
“Nostro figlio Ryan” scrive il padre sul sito a lui dedicato (www.ryanpatrickhalligan.org/) “era dolce, gentile e sensibile”. Ma al momento di cominciare a frequentare l’asilo, era evidente che i suoi problemi motori e di linguaggio richiedessero un aiuto particolare, quindi fu seguito da insegnanti di sostegno fino alla quarta elementare. A quel punto i suoi progressi resero possibile la sospensione del sostegno. In quinta elementare, però, lui stesso si rese conto di avere dei problemi di apprendimento: per quanto si impegnasse non riusciva mai bene a scuola. Questo e le sue difficoltà di coordinazione motoria lo resero oggetto costante di bullismo da parte di un ragazzino e di un suo amico. I genitori cercarono di infondergli sicurezza, chiedendogli di ignorare le prese in giro, e lo fecero seguire da un terapeuta per rinforzare la sua autostima e sviluppare la sua capacità di resistenza alle avversità. Dopo alcune sessioni, Ryan sembrò aver superato il problema, per cui la terapia fu sospesa. Alle medie i problemi bullismo continuarono e i genitori li sottovalutarono, ritenendo che fossero ‘cose da ragazzi’ che il figlio prima o poi avrebbe superato. In seconda il problema si accentuò: i ragazzi che lo prendevano di mira erano sempre gli stessi delle elementari, che lo tormentavano al
punto che Ryan non voleva più andare a scuola. Nell’estate del 2003, Ryan iniziò a trascorrere molto tempo su internet, utilizzando soprattutto dei servizi di messaggistica istantanea. La famiglia era preoccupata, e il padre stabilì delle regole di sicurezza per la
navigazione su internet:
• Non chattare né scambiare messaggi istantanei con sconosciuti
• Non dare informazioni personali (nome/indirizzo/telefono) agli sconosciuti
• Non inviare foto agli sconosciuti
• Non usare password segrete
Sul computer di Ryan il padre trovò delle cartelle che raccoglievano tutti i messaggi che Ryan aveva scambiato quell’estate; in seguito interrogò i suoi compagni di classe, e si rese conto che la tecnologia veniva utilizzata come un’arma, che era molto più potente e pervasiva di quelle semplici di quelle che avevano. Fa sentire onnipotenti dietro un falso anonimato che con i giusti mezzi è smascherabile Pochi adulti sono dotati di resilienza e resistenza sufficienti per sopportare attacchi così crudeli di pubblica diffamazione; figurarsi un ragazzino che ha già i suoi problemi e si trova in un momento della vita delicato come l’adolescenza. Il padre di Ryan ritiene che la tecnologia abbia l’effetto di accelerare e amplificare il dolore a livelli che probabilmente risulteranno in un aumento di casi di suicidio tra gli adolescenti, almeno fino a che non si troverà un modo perrenderli più resistenti. Ryan si toglie la vita e Sette mesi dopo la morte del ragazzo fu promulgata la Legge sulla Prevenzione del Bullismo del Vermont (Atto 117), seguita poi dalla Legge sulla Prevenzione del Suicidio (atto 114).
Se il video non viene visualizzato è possibile vederlo a questo indirizzo https://youtu.be/Wy8xy9KpdhI
Megan Meier 1989-2003
Nel dicembre del 2007, Tina Meier fondò l’organizzazione no profit Megan Meier Foundation, in memoria della figlia Megan che si era impiccata in un armadio della sua stanza a tredici anni nel 2006. La ragazza era un’assidua frequentatrice di MySpace, un social network che permette agli utenti di creare pagine web, blog, caricare foto e video per interagire con altri utenti. Un giorno rivelò alla madre di aver conosciuto sulla piattaforma un ragazzo molto carino: si chiamava Josh Evans, suonava la chitarra, studiava a casa e aveva i genitori separati. Megan, controllata sempre molto attentamente dalla madre per quanto concerneva l’utilizzo di internet, le chiese il permesso di aggiungere Josh alla sua cerchia di amici. Megan soffriva di disturbo di deficit dell’attenzione e di depressione, oltre che per problemi legati al suo peso. Ma quell’anno era riuscita a perdere dieci chili e aveva cominciato a frequentare la terza media in una nuova scuola. La madre, Tina, racconta che sua figlia aveva deciso di interrompere l’amicizia con una ragazza che viveva non distante da loro: l’anno precedente avevano litigato e si erano riappacificate più volte, ma adesso c’era qualcosa di nuovo ed eccitante nella sua vita: Josh. Subito dopo la scuola si precipitava alcomputer per chattare con lui. “Megan aveva sempre avuto problemi di peso e di autostima” racconta Tina. Quando Ron, il padre, aprì MySpace, ci trovò l’ultimo messaggio di Josh: “Tutti in città sanno come sei. Sei una persona orribile e tutti ti odiano. Ti auguro di vivere una vita schifosa. Il mondo sarebbe un posto migliore senza di te.” In seguito, Tina e Ron provarono a contattare Josh, per fargli capire le gravi conseguenze delle sueparole, ma il suo account era stato disattivato. I Meier continuarono a frequentare la famiglia dell’ex amica di Megan, finché un giorno non furono avvisati da una donna, un’altra vicina, che Josh non era mai esistito, ma era stato impersonato da adulti: i familiari dell’ex amica di Megan. Anche la figlia della donna era stata coinvolta nello “scherzo”, ed era stata proprio lei a scrivere quell’ultimo messaggio da parte di “Josh”. La sera del suicidio di Megan, la madre dell’ex amica aveva chiamato la ragazzina, intimandole di non rivelare niente riguardo al falso account. Tina era sconvolta: si fidava di quelle persone, che conoscevano Megan ed erano al corrente dei suoi problemi di depressione. Tina Meier ha collaborato con l’organo legislativo del Missouri per promulgare la legge del Senato 818, conosciuta anche come «Legge Megan sulla prevenzione del cyberbullismo»
Amanda Todd 1996-2012
Il 10 ottobre 2012, AmandaTodd, una ragazza canadese di 15 anni si suicidò nella sua casa di Port Coquitlam, nella British Columbia. Prima della sua morte, la ragazza aveva postato un video su YouTube nel quale mostrava una serie di cartoncini su cui raccontava la sua esperienza: era stata ricattata perché aveva mostrato il seno a uno sconosciuto via webcam, era stata sottoposta a bullismo e assalita fisicamente. Il video diventò virale dopo la sua morte, destando l’attenzione dei media. Nel febbraio 2017 il video aveva avuto più di 12 milioni di visite. La polizia canadese iniziò delle investigazioni sul suicidio e il primo ministro della British Columbia rilasciò una dichiarazione on-line in cui si rammaricava per il suicidio della ragazza e suggeriva una discussione nazionale riguardo alla criminalizzazione del cyber bullismo. Inoltre fu introdotta una mozione al parlamento canadese per proporre uno studio riguardante l’incidenza dei bullismo in Canada, e per finanziare in modo più consistente le organizzazioni antibullismo. La mamma di Amanda creò la Fondazione Amanda Todd, ricevendo donazioni per diffondere la consapevolezza riguardo al cyberbullismo e per implementare programmi per aiutare i giovani con problemi mentali. Il video di Amanda, della durata di nove minuti, s’intitolava «La mia storia: lotta, bullismo, suicidio, autolesionismo», e mostrava la ragazza che faceva scorrere davanti a sé una serie di cartoncini in cui raccontava la sua esperienza di bullizzata.
Se il video non viene visualizzato è possibile vederlo a questo indirizzo https://youtu.be/LkE7ShYhdHI
Rebecca Sedwick 2001-2013
Rebecca Sedwick sembrava una ragazza qualunque di dodici anni, che andava a scuola e contribuiva alla vita della sua comunità; in pochi, guardandola o parlandoci, avrebbero sospettato che fosse vittima di un’insopportabile pressione sociale da parte dei suoi coetanei. Il mondo, però, divenne consapevole della sua esistenza solo l’8 settembre del 2013, quando si suicidò. La ragazzina era nata il 19 ottobre del 2000 a Sebring, in Florida. I suoi genitori, Tricia Norman e Kim Sedwick, erano separati, ma trascorrevano con lei del tempo di qualità. Ma, avendo sei sorelle e tre fratelli, Rebecca non poteva godere della propria privacy, almeno quando si trovava a casa. Ma a scuola, la Lawton Chiles Middle Academy, Rebecca aveva la possibilità di essere indipendente: riusciva bene negli studi e non si metteva mai nei guai. Sembrava proprio vivere una vita normale, ma quel lunedì mattina uscì di casa alle 6.45 senza zaino né libri: nessuno l’aveva notato perché erano tutti presi dalle attività familiari. Rebecca sarebbe dovuta andare a scuola, invece si diresse verso una località industriale abbandonata, dove salì su un’alta struttura e si lasciò cadere nel vuoto. Solo dopo che la madre ebbe sporto una denuncia di scomparsa, ore dopo il suo mancato ritorno da scuola, le forze dell’ordine iniziarono a cercarla. Il suo corpo fu trovato la mattina del 9 settembre.
Carolina Picchio 1999-2013
“Mia figlia aveva 14 anni, si è uccisa perché dei giovanotti poco più grandi di lei, dopo averla molestata sessualmente e aver filmato ogni scena, hanno messo tutto su Internet” scrive il padre di Carolina sul corriere.it. “Me la ricordo bene la notte in cui tornò da quella festa, andai a prenderla io stesso e la mattina dopo mi disse: papà non ricordo niente di quello che ho fatto ieri sera. Non sapeva nulla, povera stella. L’ha saputo giorni dopo, quando ha trovato il coraggio di buttarsi dal balcone dopo aver letto i 2.600 like, insulti e volgarità vomitati dal mondo anonimo della rete. Ma parliamo dei responsabili. Le hanno fatto perdere coscienza e si sono divertiti un po’. Chissà, a loro sarà sembrato normale… Ancora oggi, dopo le loro ammissioni, mi chiedo: hanno capito davvero il disvalore di quello che hanno fatto? La consapevolezza dichiarata non sempre corrisponde a quella vissuta ed è per questo che insisto ormai da mesi: devono dimostrare fino in fondo che sono pentiti, come hanno detto in tribunale.” Sono le tre di notte del 5 gennaio 2013. Sul selciato di una strada sotto un palazzo, giace il corpo di Carolina 13 anni: si è gettata dalla sua camera al terzo piano. È il primo caso italiano di suicidio per cyberbullismo. Cosa ha spinto una ragazzina a togliersi la vita? Tutto risale a una festa: pare che Carolina avesse bevuto un po’ troppo, forse istigata da un gruppetto di ragazzi, che la ripresero mentre vomitava, mentre sullo sfondo si esibivano in atteggiamenti sessuali. Pur non contenendo veri e propri atti sessuali, il filmato era umiliante per Carolina, che vi veniva derisa e ingiuriata pesantemente. Il gruppetto di bulli, un maggiorenne e sei minorenni, aveva diffuso il video sui social network, facendo diventare la ragazza un vero e proprio zimbello tra i coetanei. Proprio i vari insulti ricevuti in rete avrebbero scatenato la reazione suicida in una ragazza che già soffriva di solitudine e problemi in famiglia (genitori separati), dove peraltro nessuno si era accorto del suo disagio. Sulla tragedia sono state aperte due inchieste. La prima a Torino, dove sta indagando la procura per i minorenni nei confronti dei sei ragazzi, dai 13 ai 15 anni. I reati contestati: per cinque di loro, presenti quella sera alla festa, «violenza sessuale di gruppo»; per uno, un quindicenne, diffusione di materiale pedopornografico; allo stesso quindicenne e all’ex fidanzatino, che quella sera non c’era, il pm Valentina Sellaroli contesta invece la «morte come conseguenza di altro reato». “Hanno ottenuto la messa alla prova invece del procedimento penale? Bene” continua Paolo Picchio, una volta venuto a conoscenza delle decisioni del giudice. “Se hanno elaborato le loro colpe sarà un bene condividerle con gli adolescenti nelle scuole. Questo sarà il loro percorso alternativo al carcere, quando li sentirò parlare sinceramente del male che hanno fatto saprò che hanno capito davvero. Se hai perduto tua figlia in modo così tragico hai bisogno di un motivo per alzarti ogni mattina. Io ho passato tre mesi senza avere nemmeno la voglia di aprire gli occhi. Poi mi sono detto che Carolina non poteva essere una riga in cronaca che si legge e si dimentica. Così oggi vivo per le Caroline che non conosco e che purtroppo, lo so, sono da qualche parte nella rete anche adesso mentre scrivo.”
Tiziana Cantone 1985-2016
Tiziana Cantone, 31 anni, si è suicidata martedì 13 settembre 2016 dopo che un video hard che la vedeva protagonista era stato ampiamente diffuso sul Web fin dal 2015, sia su siti per adulti che tramite app per smartphone. Il suo fidanzato nell’aprile del 2015 l’aveva persuasa a farsi riprendere mentre faceva sesso. In realtà non è chiaro entro quali limiti lei abbia agito «volontariamente e in pienacoscienza» (a detta dei giudici) anche nelladiffusione dei video, uno dei quali è ambientato per strada. A ricevere i video, nello stesso mese,saranno due fratelli amici del fidanzato (che lei aveva conosciuto) poi un utente di Facebook di cui è noto solo il «nickname» e, ancora, un terzo soggetto maschile. Alcuni giorni dopo un primo video finisce su un portale hard: il 30 aprile il video è già popolarissimo soprattutto nel napoletano, ma è solo l’inizio. La diffusione diventa capillare, dapprima, tramite whatsapp (altri social network non consentono la diffusione di materiale a sfondo sessuale). Tiziana è riconoscibile con nome e cognome, spesso compare nel titolo, si vede bene in volto: ma a spopolare è in particolare quello che in gergo si chiama «meme», ossia la frase di lei «stai facendo un video? Bravo». Addirittura sono
state aperte pagine su Facebook su cui girava parte del video, e poi meme e parodie in cui la ragazza veniva denigrata, derisa e insultata. Per questo aveva provato a cambiare identità e città: dall’hinterland napoletano, di cui era originaria, si era infatti trasferita in Toscana sperando che nessuno potesse riconoscerla. Tiziana non poteva più uscire di casa: tutti la riconoscevano. È andata in depressione, è stata colpita da attacchi di panico e la madre riferisce che ha tentato di suicidarsi due volte . Nonostante la sua richiesta al sistema giudiziario di eliminare il video da tutti i social network, cosa che poi effettivamente è avvenuta, il diritto all’oblio non ha mai cancellato la fama che ormai Tiziana si portava dietro come un marchio indelebile. Oltretutto, nonostante il Tribunale le abbia dato ragione, la ragazza non solo non è stata risarcita, ma si è ritrovata a dover pagare 18.225 euro più IVA di spese legali. È troppo. Tiziana scende in cantina e si impicca con un foulard. I cinque iscritti nel registro degli indagati sono stati tutti scagionati. I filmati sono ancora online: l’oblio, su internet, a quanto pare non esiste.
Questi sono solo tragici esempi di migliaia di casi studiati e analizzati. Ma come prevenire e compensare il fenomeno ? Lo analizzaeremo in una seride di articoli sul tema estratti dal testo “Bullismo & Cyberbullismo: comprendere per prevenire” scritto a quattro mani con Chiara Guarascio e disponibile su Amazon book Store
Dott. Egidio Francesco Cipriano
Immagini Dott. Egidio Francesco Cipriano
Immagine di testa Pixabay https://pixabay.com/it/photos/nessun-odio-azione-1125176/
Video liberamente disponibili su youtube
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.