Lettera aperta alla Soprintendenza Archeologica dei Beni Culturali, alla Rai, al Commissario Prefettizio del comune di Taranto, alla comunità tarantina.
Il cinema è una grande opportunità per Taranto, una diversificazione culturale, sociale ed economica che oggi è una strada da percorrere con entusiasmo, ma senza perdere il controllo. Ma dare una nuova vocazione alla città non significa svendere la propria storia, sacrificare le proprie radici. Questo è l’errore che è stato compiuto negli anni ’60, quando l’ebbrezza dell’industrialismo travolse tutto ciò che eravamo. Quando lo stipendio in fabbrica cambiò per sempre, non solo il volto di questa terra, la sua identità, ma anche la forza di una comunità. Voglio chiarire che il paragone tra la fabbrica e il cinema è chiaramente una provocazione: le due cose sono distanti anni luce, ma è sull’atteggiamento della nostra comunità che vorrei che si concentrasse l’attenzione affinché questa nuova opportunità non ci porti a commettere, per altri versi, gli stessi errori di allora. Purtroppo alcuni segnali evidenziano esattamente questo.
“Travolti dal solito beotismo cinefilo in un caldo mese di maggio”: parafrasando il titolo di una grande opera della regista Lina Wertmuller – che più volte a Taranto, anche lei, ha fatto c…iak suoi – potremmo riassumere così quanto sta accadendo in città vecchia, dove sono in corso le riprese della fiction Rai “Il Commissario Ricciardi”.
Alla Soprintendenza vorrei chiedere se sia stata informata e come sia stato possibile lo stravolgimento e la manomissione di opere sottoposte a vincolo con la costruzione, in modo posticcio, di una serie di finte facciate? Mi riferisco a Palazzo Troilo, Palazzo Fornaro dove sono state collocate finte porte, finte suppellettili. È tutto regolarmente autorizzato? Perché se così non fosse, se quelle strutture dovessero risultare permanenti o danneggiare i palazzi storici quando saranno rimosse, staremmo violentando la nostra storia.
E non si tratta di mere ipotesi, visto che in passato queste produzioni hanno più volte operato con mano “pesante” nel centro storico di Taranto, lasciando spesso tracce indelebili nella citta vecchia, perché scelta per parodiare altri contesti, come nel caso del Commissario Ricciardi ambientata appunto, in una parodistica Napoli del ventennio.
Ai responsabili di Rai Fiction e della casa di produzione Clemart s.r.l. vorrei chiedere da chi è stato autorizzato l’uso di Palazzo De Bellis e se fossero a conoscenza che si tratta di un bene comunale occupato abusivamente da troppo tempo. Più volte il comune ha provato a sgomberarlo e più volte è tornato sconfitto ed essendo questa la condizione amministrativa dell’immobile, a chi sono intestate le utenze di acqua e luce usati quotidianamente dalla produzione e i relativi pagamenti? Eppure, solo qualche giorno fa, il 23 maggio, ricordando Giovanni Falcone tutti abbiamo richiamato l’attenzione su quanto sia importante sostenere la legalità, soprattutto nelle azioni quotidiane e nelle piccole cose. Proprio qui nella città vecchia, dove da tempo si cerca di riavvicinare la comunità che ci vive al concetto di legalità e alla serenità. Davvero Rai Fiction e Clemart s.r.l. vogliono produrre una fiction basandosi sull’abusivismo e l’illegalità mentre le parrocchie e le diverse associazioni di volontariato dell’isola, da anni girano tra i vicoli per portare questo messaggio di inclusività e togliere i ragazzi dalle strade?
Al commissario prefettizio del Comune di Taranto vorrei chiedere se qualche settore competente o dirigente o capo ufficio dell’amministrazione comunale abbia dato il via libera all’apertura indiscriminata di spazi e palazzi dichiarati anche a rischio crollo: come quello in via Duomo 160. Un tempo in quel locale, la signora Latanza aveva una merceria: fu sgomberato di fretta e furia per pericolo di crollo, ma oggi la produzione ha allestito una falegnameria. È stato reso agibile? Quali tipi di permessi sono stati dati per utilizzare i piani terra di palazzo Troilo, in fase di cantierizzazione, ed eventuali altri locali di proprietà comunale?
Alla comunità tarantina, infine, vorrei chiedere: dov’è finita la canea che qualche mese fa, per la bufala sulla facciata di San Domenico ha scatenato una tempesta inutile e, di fronte ad un rischio reale di deturpamento di beni architettonici è silente, anzi qualcuno propone in modo dissennato di rendere quelle disneyane modifiche cinematografiche, definitive.
Perciò quale rapporto si vuole costruire tra città e cinema? L’amministrazione Melucci, Apulia film Commission e l’associazione Afo6, negli ultimi anni hanno lavorato alla costruzione di una filiera del cinema dando vita ad un cineporto, che secondo quanto viene raccontato è stata completamente bypassata da questa produzione. Anche alcune professionalità ed eccellenze locali in campo cinematografico sono state ignorate. Vorrei anche chiedere quali canali e responsabili stiano gestendo la sicurezza, l’aspetto contributivo, retributivo del personale che sta prestando la propria opera per questa produzione. Perché, e sperando sempre nella migliore delle ipotesi, fino a poco fa, durante l’emergenza Covid, tutti abbiamo sofferto per i diritti calpestati dei lavoratori dello spettacolo…
Insomma, vorrei che Taranto non diventasse il “Paese di Bengodi”: perché stando a quanto si racconta, Rai Fiction , o la casa di produzione Clemart s.r.l., hanno provato a tenere lo stesso comportamento anche in altri centri italiani, ma la legge, il rispetto delle regole che qualcuno ha fatto valere, li ha fermati. Io non vorrei che questa terra diventi la “Cinecittà dei poveri”. Perché la dinamica sarebbe la stessa di 60 anni fa, quando il IV polo siderurgico Italsider è stato accolto come una benedizione e ora ne paghiamo le conseguenze.
Ripeto, il paragone è una provocazione, ma bisogna fare attenzione. Perché oggi il cinema viene rappresentato come una delle cure. Ma Dio non voglia che fra 50 anni o forse prima, si debba fare i conti dei danni generati da questa nuova cura. In questo caso a subirli sarebbe soprattutto la Città Vecchia, già in una condizione fragilissima per potersi permettere di perdere le sue ultime poche possibilità storiche, culturali, identitarie che ne hanno fatto un unicum e cioè -sintetizzando quanto ebbe a dire se non erro Cesare Brandi-: “Un monumento irripetibile del quale il tempo è stato l’artista”.
Perché in fondo la logica è la stessa: disperazione, denaro, illusione.
Concludo questa mia lettera aperta richiamando un film degli anni ‘80, Brubaker, nel quale Robert Redford interpreta il ruolo del direttore di un penitenziario che come detenuto si infiltra nel carcere che deve dirigere per cogliere meglio gli eventuali abusi di quell’amministrazione penitenziaria, scoprendo addirittura decine di omicidi compiuti dalla stessa. Alle pressioni dei vari politici di turno di sottacere quanto ha scoperto, Redford/Brubaker risponde: “Non posso farlo. Come potrei poi spiegare ai detenuti che è giusto che stiano qui?”
Ecco, come possiamo chiedere diritti, giustizia e identità, se poi svendiamo quel poco che c’è rimasto solo per qualche … briciola di visibilità e una manciata di denaro?
Giovanni Guarino-operatore culturale ed educatore di strada (figlio della città vecchia di Taranto)
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