Dall’alto contatto sensoriale all’agorà virtuale, una svolta per il futuro
Un metro almeno. Di più è meglio! Circa 3 piedi per gli americani o per gli inglesi. Con queste misure abbiamo “preso le distanze” dall’inizio della pandemia COVID. Le raccomanda anche l’Organizzazione mondiale della sanità nel capitolo del distanziamento sociale che è diventano una regola ben acquisita, sostenute da scienziati e operatori sanitari, considerato una delle misure di protezione di base per evitare di intercettare i droplet e scansare il contagio.
Queste misure comportano una rivisitazione complessiva della gestione dello spazio e delle distanze nei rapporti interpersonali e chiamano inevitabilmente in causa la prossemica che approfondisce, tra l’altro, anche il valore delle distanze tra individui nelle diverse culture e nella società. Sì perché anche l’uso dello spazio è un fatto culturale! Noi, popolo del Mediterraneo, anche con differenze nel nostro Paese tra Nord e Sud, siamo quelli con la cultura ad alto contatto sensoriale, sempre in cerca di conferme di attenzione e della presenza dell’altro: siamo quelli della pacca sulla spalla, della carezza incoraggiante, della camminata sottobraccio, del saluto con il bacio prima e dopo, dello struscio nelle vie del centro, del segno di pace scambiato in chiesa e delle strette di mano per un impegno assunto. Siamo quelli che amiamo la confusione, che ci piace fare “ammuina”.
Con la regola del distanziamento sociale è cambiata la gestione dello spazio interpersonale, la misurazione di esso, fino all’eliminazione del contatto fisico. In realtà, però, la lettura di distanziamento sociale è fuorviante e genera ambiguità semantica perché sembrerebbe compromettere la comunicazione e i rapporti di socialità tra individui che, invece, possono essere mantenuti e non richiedono la contingenza della presenza fisica. Anche l’OMS afferma che è ora di abbandonare questa espressione entrata nel lessico quotidiano e sostituirla con quella più efficace di “distanziamento fisico” più facilmente associabile a una distanza di sicurezza visibile e misurabile indicata per evitare il rischio di contagio.
Questa risemantizzazione della distanza non è proprio una questione dialettica ma comporta un ripensamento sul nuovo scenario di socialità che si è generato in questa quarantena. Infatti, non si potrà certo parlare di distanziamento sociale quando, pur nel rigoroso rispetto della distanza fisica, si è osservata una ritrovata vicinanza sociale e un rafforzamento dei legami con ciò sopportando meglio anche il lockdown.
Nell’isolamento la socialità non è rimasta soffocata ma ha trovato le sue vie di fuga e l’uso del digitale ha consentito di rimanere connessi e in contatto con il resto del mondo. Ora la socialità è di stanza sul web, circola sulle app, approda nelle nostre case. Le tecnologie comunicative, dal telefonino alle più sofisticate applicazioni smart hanno permesso di rimanere tutti connessi, affermando nuovi spazi di socialità. I social e il web hanno assunto un nuovo orizzonte di senso e affermato un ruolo centrale nella scansione della giornata. La loro potenza si declina soprattutto per essere i principali luoghi di informazione, di socialità e di interazione, dello stare insieme e spazi di conoscenza e di esplorazione.
Il social sono diventati quell’agora virtuale dove i cittadini si incontrano, discutono, si confrontano. In questo no-luogo si è recuperata quell’alone di normalità che sembrava inesorabilmente compromesso: si organizzano lauree in streaming, karaoke, feste di compleanno, aperitivi con gli amici; si va regolarmente a scuola, si fa la spesa, si cucina e si cena con parenti con cui si vorrebbe condividere la tavola, si organizzano videochiamate con i nonni, incontri di preghiera…anche la Santa Messa corre sui social. La platea del teatro è diventato il salotto di casa, adattato all’occorrenza anche a palestra.
L’ufficio è diventato virtuale e lo smart working il nuovo modello organizzativo di aziende e P.A che sarà adottato anche nell’ordinarietà. L’evoluzione digitale ha contagiato anche il rapporto medico-paziente che dalla medicina tradizionale, nel momento del distanziamento fisico, è approdato alla telemedicina: una vera e propria rivoluzione sociale e culturale che, attraverso la connessione, facilita la comunicazione, agevolando l’erogazione di servizi sanitari, dalla diagnosi alla terapia fino ai controlli a distanza. Dunque, c’è spazio per tutto nel web e nei social! Anche i più accaniti sostenitori di stereotipi abusati che oppongono il reale al virtuale, la fisicità alla digitalizzazione, hanno dovuto ritrattare la loro posizione e ammettere il valore del web e dei social, e specie in questo particolare momento, la loro funzione aggregante e sociale.
Questa emergenza, che ha spiegato i suoi effetti in ogni ambito, ha avuto un suo modo per riequilibrare le cose e per aprire nuovi scenari ed opportunità che sono entrati a pieno diritto nella nostra vita. E la svolta digitale è stata l’autostrada di collegamento tra quella che era la nostra ordinarietà e la straordinarietà del momento, con i nostri legami affettivi, con le nostre abitudini, per resistere e non fermarsi, rimanendo connessi e vicini…socialmente mai distanti.
Maria Lucia Simeone
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