Riceviamo e pubblichiamo:
Ciclicamente torna in auge a Taranto la querelle circa il mantenimento o meno del muro di cinta dell’Arsenale Militare, “il Muraglione”. I propugnatori del totale abbattimento sembra siano ora addivenuti a più miti consigli, proponendone il diradamento, cosa che, dal mio punto di vista, costituisce la manifestazione di una trattazione più evoluta dell’argomento. Intanto va detto che quel muro è parte integrante della grande fabbrica che segnò in positivo le sorti di Taranto dalla fine dell’800, garantendo il benessere di una popolazione che, giusto per intenderci, viveva in gran parte fino ad allora in condizioni di indigenza e con un elevato tasso di mortalità infantile, nel ristretto spazio dell’Isola della città Vecchia. Quel muro proteggeva una vera e propria cittadella della difesa nazionale, con un marcato ruolo simbolico legato all’amor patrio di cui Taranto andrà sempre più fiera. Non a caso il disegno del Muraglione riprende il profilo delle cortine esterne del Castello Aragonese, con il primo tratto basale a scarpa, la cornice torica intermedia, il tratto superiore verticale. All’interno il muro è realizzato con una fitta sequenza di archeggiature ogivali chiusa in sommità da mensole modanate. Non è un semplice muro, dunque, ma definisce le mura di cinta di una città nella città, ed è tutt’uno con l’Arsenale, nel suo insieme documento della storia e della cultura di Taranto, un vero e proprio monumento, da conservare e valorizzare. Ma cosa disturba di questo muro al punto da volerne proporre l’eliminazione o il diradamento? Il fatto che non si possa vedere cosa c’è oltre? Poniamoci allora dall’altra parte, cioè dall’interno dell’Arsenale e immaginiamo cosa si vedrebbe da lì verso di noi. Oltre quel muro, così ben costruito e disegnato con il ritmo delle archeggiature cui accennavo, in armonia con il paesaggio industriale di fine ottocento che cinge, così affine alla città umbertina che siamo stati capaci in gran parte di cancellare con diffuse sostituzioni edilizie dettate dalla più bieca speculazione, vedremmo, ad eccezione del tratto da via Pitagora a via Leonida, enormi, tristi palazzoni, testimoni di una cementificazione selvaggia, arginata proprio da quel muro che si vorrebbe abbattere. Percorriamo Via Cugini e osserviamo il panorama urbano che costeggia il Muraglione: una densa massa edilizia con rapporti soffocanti fra larghezza delle strade e altezza degli edifici, scarsa insolazione nelle vie trasversali, e pochissimi alberi ad umanizzare il contesto. Ora soffermiamoci sui colori dei prospetti e ci imbattiamo in incredibili tonalità di rosso, ma anche di giallo e di verde. A proposito di verde, non è mai stato il nostro forte nemmeno negli spazi di mediazione fra il pubblico e il privato, tant’è che i balconi qui sono prevalentemente disadorni. Quanto al diradamento, esistono varchi murati o con portoni ciechi: alla fine del Corso Umberto, su via Cugini all’altezza di via Diogene, e all’altezza di via Ennio. Basterebbe aprire già solo questi e collocare cancelli, per consentire la vista dell’interno. All’altezza di via Marco Pacuvio c’è infine la grande apertura del Centro Sportivo del Comando Marittimo, chiusa da una cancellata con vista sulle aree interne. Ma chi apre e pone cancelli? Chi compartimenta le aree del demanio Difesa da quelle che si auspica diventino pubbliche? Chi gestisce le aree divenute pubbliche? Chi ne cura la manutenzione, l’uso in sicurezza, l’allestimento? Altri Arsenali storici sono cinti da alti muri e sono impenetrabili. A nessuno verrebbe in mente di demolire il muro dell’Arsenale di Venezia. Ma nei capannoni dismessi, lì si svolge la Biennale ed è un luogo visitabile. Auspico per Taranto la stessa sorte, mentre per le aree urbane ai margini, da via Cugini a via Cesare Battisti, un serio intervento di rigenerazione urbana, l’adeguamento ad un piano del colore, l’umanizzazione del contesto attraverso la cura degli spazi pubblici (verde, arredo, illuminazione). Difficilissimo!
Architetto Augusto Ressa.
Noi siamo tra quelli che da tempo chiedono non l’abbattimento tout-court come mera azione distruttrice di quello che riteniamo sicuramente un pezzo importante di storia della nostra città, quanto il recupero alla fruizione pubblica di una delle aree più belle e ricche da un punto di vista paesaggistico, culturale, storico. E dunque l’abbattimento, per come lo intendiamo noi, deve intendersi più metaforico, e riguarda il confine elevato da una forza armata che nel tempo ha acquisito sempre più ampi spazi del nostro territorio. Attendiamo ad esempio da anni che venga applicato l’accordo per il rilascio della banchina torpediniere, o l’utilizzo dei campi sportivi di via Cugini, ripristinati con fondi pubblici, più volte inaugurati. Resti pure la gestione pubblica ma si dia la possibilità ai tarantini di fruire di quelle aree. L’autorevole Architetto nel suo “elogio” parla di “un vero e proprio monumento, da conservare e valorizzare”; crediamo che chiunque abbia occhi si renderà conto di come oggi venga “conservato e valorizzato”, non più ne meno di come viene conservato e valorizzato l’acquedotto del Triglio! Per il resto, per gli obbrobri di un’urbanizzazione selvaggia, siamo pienamente d’accordo ma riteniamo una ragione in più per provare a porre rimedio, indipendentemente dalla questione muraglione.
Francesco Ruggieri
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