La Covid 19 ha messo il mondo in ginocchio, questo è indubbio. Si tratta però di un’emergenza che nessuno (al di là delle tesi degli scienziati, mai convergenti fra loro), sa realmente quando potrebbe finire.
Nel frattempo l’epidemia ha rimesso tutto in gioco. Gli stili di vita e le consuete abitudini sono cambiate. Sovvertite anche molte regole e quello che è procrastinabile è stato procrastinato a fine emergenza. Insomma, tutto ciò che era scontato non lo è più.
L’unica terapia che gli scienziati hanno prescritto e che il governo ha imposto è quella di restare a casa (salvo urgenze e motivi lavorativi, ovviamente). Ma le deroghe (si sa), sono tante e chi può, ancora oggi, ne approfitta.
Ad ogni buon conto, ai tempi del coronavirus, fra le tante strategie adottate, sarebbe essenziale anche abolire (temporaneamente) il diritto alla privacy. Perché solo così si potrebbe tutelare anche chi (per un qualsiasi motivo), potrebbe non essere identificabile all’interno dei percorsi di vita di un soggetto Covid e che quindi non potrebbe essere allertato dalle autorità competenti.
La Covid 19, scientificamente parlando, è un’influenza. Ma è evidente che la sua ascesa è rapidissima a causa della sua alta contagiosità. Per questo, contro il coronavirus è necessario giocare d’anticipo, quindi con la violazione della privacy si darebbe il diritto a chi, inconsapevolmente, è stato a contatto con qualcuno, risultato poi positivo, di salvaguardare sé stesso e i propri cari, evitando di aumentare il raggio dei contagi.
Per cui, adesso, istituire un registro Covid 19 sarebbe uno strumento indispensabile.