E’ davvero un lavoro così come lo identifica la nostra Costituzione?
Il caso Ferragni ha riportato l’attenzione dell’opinione pubblica sulla figura dell’influencer. Come sempre si sono costituiti schieramenti opposti, rispetto alla vicenda. Di casi simili ce ne saranno in quantità industriale ogni giorno ma se sei un inflluncer del livello della Ferragni è naturale che l’attenzione dell’opinione pubblica sia massima.
Se la nota imprenditrice ha commesso un errore, alla fine lei stessa alla fine lo ha ammesso, troverà il modo di uscirne e sicuramente tornerà insieme al marito a riempire i social con i suoi “contenuti”.
Gli influencer sono sempre esistiti; una volta li chiamavamo “testimonial”. L’attore, il cantante, il calciatore, famosi ci hanno sempre consigliato una marca specifica di acqua minerale, piuttosto che un rasoio miracoloso o una grappa da bere rigorosamente in cima ad un’alta montagna. Per non parlare del caffè che più lo mandi giù e più ti tira su!
Cambiando gli strumenti di comunicazione e passando quindi ai social il fenomeno si è solo ampliato in termini di platea.
Ma l’influencer è un davvero un lavoro?
La nostra Costituzione si occupa di definire il lavoro sottolineandone in particolare il valore sociale.
Ciò che tutti conoscono, o dovrebbero conoscere, è l’articolo 1: “L’Italia è una Repubblica democratica, FONDATA SUL LAVORO La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Ma è all’art. 4 che si chiarisce:
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”
Il lavoro dunque è un diritto, purtroppo non del tutto garantito, ma è anche un dovere. Con il proprio lavoro i cittadini contribuiscono al progresso materiale o spirituale della società.
Un medico, un insegnante, un ingegnere, un avvocato, un impiegato, un operaio, alcuni esempi di attività lavorative che sicuramente concorrono allo sviluppo della società. E l’influencer? Se guardiamo questa nuova figura ( in realtà sempre esistita anche si in forme di comunicazione diversa) come parte di un processo produttivo che riguarda la fase della commercializzazione di un prodotto, ovvero il marketing, possiamo tranquillamente affermare che si tratti di un’attività che ha sicuramente un suo risvolto in termini di sviluppo della società.
Il tema in discussione è un altro e riguarda due aspetti; il primo la reale corrispondenza tra il messaggio trasmesso e la realtà. Acquisto un prodotto, nel caso un pandoro, perché mi fido di chi me lo consiglia. Se quel tale influencer raccomanda qualcosa mi viene da pensare che sia davvero di buona qualità, visto che ci mette la faccia. Ma è sempre così? La seconda questione riguarda l’allargamento dell’oggetto dalla sola raccomandazione per gli acquisti alla diffusione di modelli di vita. Per cui coloro i capelli come il mio idolo social, o lo emulo in comportamenti che non sempre hanno una loro eticità, come il festeggiare il compleanno in un supermercato e distruggere tutto. Questo non è più lavoro come inteso dalla Costituzione. Anzi; il condizionamento soprattutto dei più giovani alla fine può rappresentare causa di regressione sociale e non di sviluppo.
Dato per scontato che la vicenda Ferragni sicuramente non rappresenta un momento esaltante per l’influencer, il dibattito dovrebbe però svilupparsi più in generale sulla eticità di questa attività, evitando noiose ed inutili strumentalizzazioni di natura politica. In questo ambito anche in Ferragnez dovrebbero modificare alcune loro forme di partecipazione al dibattito politico.
Foto di Markus Winkler da Pixabay