Sono stati oltre tremila i cittadini manduriani scesi questa mattina, 8 maggio, per le strade della cittadina messapica per testimoniare il dolore per le vicende che hanno interessato Antonio Stano, il pensionato vittima di aggressioni immotivate e continuate nel tempo da parte di gruppi di giovani, probabilmente causandone la morte lo scorso 23 aprile. Numerosi i giovani, provenienti da tutte le scuole della città, anche coetanei dei protagonisti delle nefandezze, che hanno sottolineato la volontà e l’impegno a costruire una comunità migliore.
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La “Marcia della Civiltà”, organizzata dalla Pro Loco di Manduria, è partita alle 10 da via Sorani (dove hanno sede diverse scuole), è passata davanti alla casa di Antonio Stano, dove è stato posto un mazzo di fiori, e ha raggiunto Piazza Garibaldi, la piazza principale, intorno a mezzogiorno. Vi hanno aderito 36 tra associazioni, scuole, comitati, partiti e movimenti di Manduria, oltre al Comune di Manduria, alla Provincia di Taranto e ad alcuni Comuni limitrofi, tutti uniti per esprimere orrore per la tragedia avvenuta e per chiedere giustizia per Antonio Stano, ma anche per manifestare l’impegno a costruire insieme una Manduria solidale e più attenta all’educazione dei suoi giovani e alle esigenze delle famiglie, delle persone sole, di tutti quanti – e sono tanti – possono avere bisogno di un aiuto concreto. Perché mai più, nemmeno lontanamente, si ripeta qualcosa di simile.
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È proprio dalle associazioni, dai movimenti, dal desiderio di stare insieme per perseguire degli obiettivi nobili, sembrano dirci i tanti manifestanti, che occorre ripartire per costruire quel senso di comunità che, a Manduria come quasi ovunque, si è un po’ offuscato. La tragedia di Antonio, probabilmente, nasce proprio dall’eclissi della comunità, che ha lasciato il posto all’indifferenza nei confronti del bene comune e delle problematiche collettive, da un lato, e delle esigenze delle famiglie e degli individui, dall’altro. Non corrisponde al vero, infatti, come si è detto in questi giorni, un po’ semplicisticamente, anche da parte di qualche autorità, che a Manduria “tutti sapevano” quanto accadeva ad Antonio. Certamente, molti più dei 14 del gruppo “degli orfanelli”, forse anche alcune centinaia, sapevano qualcosa, e con ogni probabilità in tanti avrebbero potuto fare qualcosa che non hanno fatto per scongiurare il tragico epilogo; sui “silenzi che uccidono” non possiamo che sperare che la Magistratura svolga seriamente le sue indagini, come ha annunciato il Procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo. Ma, forse, è proprio per l’indifferenza, che la fa da padrona in una collettività eccessivamente atomizzata, ormai anche nei paesi, che non si è attivato quel meccanismo del passaparola, in passato così presente ed efficace, consentendo che la tragedia di Antonio si svolgesse indisturbata per anni fino al triste epilogo che a tutti ci è noto.
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Così, lo striscione proposto oggi dai ragazzi di una scuola, su cui campeggiava la scritta “Noi non siamo indifferenti”, può avere una duplice accezione: non siamo indifferenti rispetto a quanto avvenuto – ma chi lo è, in questi giorni, a Manduria? – ma, anche, non vogliamo più essere indifferenti rispetto a quanto ci accade intorno, ai bisogni del nostro prossimo, di chi ci chiede aiuto. Questa è la nostra speranza.
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Nella notte precedente alla marcia, alcuni ragazzi, denominatisi “I ragazzi della rivoluzione delle coscienze”, hanno riempito il centro e il quartiere scolastico con numerosi cartoncini con su scritte due citazioni di due maestri del Novecento: “Si è sempre responsabili di quello che non si è saputo evitare”, di Jean-Paul Sartre, e “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”, del Mahatma Gandhi. Una di questi cartoncini (con la frase di Sartre) è stato affisso su una “panchina rossa” decorata alcuni anni fa dai ragazzi del Liceo Artistico per sensibilizzare sul tema della violenza sulle donne. La frase che vi è dipinta (che può essere estesa a tutte le categorie di persone “deboli”) assume oggi un senso particolare: “Parla, grida, urla! Non subire in silenzio”. È raggelante pensare al fatto che Antonio, per anni, abbia gridato, urlato, ma senza che si facesse il necessario per aiutarlo concretamente. Forse poco è stato fatto da parte della società civile, anche se denunce e segnalazioni ce ne sono state; ma, soprattutto, poco è stato fatto da parte delle istituzioni che tali segnalazioni ricevevano (anche su questo, non possiamo che sperare che si faccia piena luce). In ogni caso, la collettività non può dirsi “non responsabile” della vicenda; non perché “tutti sapessero”, ma perché, per il modo in cui è strutturata, per le sue sacche di indifferenza, non ha saputo impedire l’evolversi di questa drammatica storia. E questo, si badi bene, non vale solo per la città di Manduria: si tratta di un discorso ben più ampio.
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Oggi Manduria appare profondamente scossa da quanto avvenuto, si chiede perché sia avvenuto, e se e come poteva essere evitato. E, d’altra parte, oggi Manduria vuole ripartire ritrovando il suo senso di comunità, riscoprendo il valore della solidarietà, non lasciando nessun uomo solo “come un’isola” (il riferimento è allo striscione dell’Associazione FramMenti, con una citazione di Thomas Merton). Soltanto così, davvero, come leggiamo nello striscione proposto dal Gruppo Scout dell’AGESCI di Manduria (in cui, finalmente, le tre scimmiette vedono, sentono e parlano, realizzando l’ideale di una comunità aperta), “un giorno la nostra terra sarà bellissima”, non solo paesaggisticamente o artisticamente.
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Giuseppe Pesare
Foto Serena Leone
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