Ventotto anni fa, il magistrato palermitano venne ucciso dalla mafia. “Siamo morti che camminano” aveva detto dopo la morte del collega amico Giovanni Falcone.
Ventotto anni fa, il 19 luglio del 1992, alle 16:58, una potente esplosione mandò in frantumi i vetri di tante case di Palermo. In Via D’Amelio, vicino al civico 21, un’auto carica di esplosivo venne fatta esplodere per uccidere il magistrato Paolo Borsellino, che era lì per fare visita alla madre. Cinquantasette giorni dopo il terribile attentato che era costato la vita a Giovanni Falcone, a sua moglie Francesca Morvillo e agli uomini della sua scorta, la mafia tornò a colpire quei magistrati che lavoravano con dedizione e impegno per contrastarne l’attività.
Paolo Borsellino era un magistrato italiano, aveva 52 anni quando fu ucciso. Nato a Palermo nel popolare quartiere della Kalsa, divenne sin da ragazzo fraterno amico di Giovanni Falcone. Nel 1963 entrò in magistratura, divenendo il più giovane magistrato d’Italia. Lavorò a Enna, Mazara del Vallo, poi Monreale. Nel 1975 venne trasferito al Tribunale di Palermo, dove ritrovò il suo amico Giovanni Falcone con il quale entrò a far parte del pool antimafia costituito da Rocco Chinnici. Si deve a lui e a Falcone l’intuizione che portò una svolta sostanziale nelle indagini e l’istruzione del maxi-processo contro Cosa Nostra: per la prima volta, si iniziò a considerare la mafia come un fenomeno nazionale e tentacolare, non più come tanti piccoli fenomeni locali. Le capacità investigative e la profonda conoscenza del diritto, oltre a un profondo senso delle istituzioni, caratterizzarono l’azione di Paolo Borsellino. Al maxiprocesso, seguì la stagione dei veleni nella Procura di Palermo, alimentata dalla polemica sui “professionisti dell’antimafia” alimentata da un articolo di Leonardo Sciascia pubblicato sul Corriere della Sera il 10 gennaio 1987.
Dopo l’attentato a Giovanni Falcone (avvenuto il 23 maggio 1992, ne abbiamo parlato qui), Paolo Borsellino era chiaramente consapevole di essere in gravissimo pericolo. Continuò comunque a lavorare con lo stesso impegno che ne aveva contraddistinto l’azione fino ad allora, seppur isolato, raccogliendo osservazioni e materiali di indagine nella ormai celebre “agenda rossa”, fatta sparire dal luogo della sua morte.
Quel giorno, insieme a lui, persero la vita cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta, alla quale va anche il primato di essere la prima donna della Polizia dello Stato caduta in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Qui di seguito la registrazione dell’intervista che Paolo Borsellino concesse a Lamberto Sposini poco prima della sua morte, una sorta di testamento intellettuale, con cui vogliamo ricordarlo.
Francesca Perrone
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